La scomparsa di Mario Burlò, imprenditore torinese di 52 anni, rappresenta un’ulteriore e drammatica riemersione delle complessità nelle relazioni tra Italia e Venezuela, un quadro già segnato da tensioni diplomatiche e preoccupazioni per i diritti dei cittadini italiani detenuti. L’uomo, attivo nel settore dell’outsourcing e a capo di una rete di aziende, è sparito lo scorso 9 novembre, dopo essere entrato in Venezuela via terra, proveniente dalla Colombia, per poi essere immediatamente arrestato.Il silenzio che avvolge le accuse mosse a Burlò e la sua attuale prigionia in un carcere venezuelano, celata dietro una generica comunicazione del console italiano, accende un faro su un sistema giudiziario opaco e su una situazione diplomatica delicata. La vicenda si inserisce in un contesto più ampio, segnato dal raffreddamento dei rapporti bilaterali derivante dal disconoscimento, da parte dell’Italia, della legittimità delle elezioni venezuelane dello scorso anno.La storia di Burlò non è un caso isolato. Rievoca le difficoltà incontrate da altri italiani, come Alberto Trentini, cooperante arrestato sempre in Venezuela e anch’egli gravato da accuse mai chiarite. Questi eventi sollevano interrogativi sulla trasparenza delle procedure legali e sulla tutela dei diritti dei detenuti in un contesto geopolitico complesso.Le vicende giudiziarie pregresse di Burlò, culminate con un’assoluzione da parte della Cassazione in seguito a una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa nel cosiddetto processo Carminus, alimentano interrogativi sul possibile collegamento tra il suo passato legale e la sua attuale detenzione in Sud America. Un collegamento che, per ora, rimane nell’ambito delle speculazioni, in assenza di informazioni concrete.L’angoscia della famiglia, esortata dai figli a conoscere il destino del padre, si traduce in un’azione concreta: un esposto alla Procura di Roma, competente per i casi di cittadini italiani all’estero, che ha aperto un fascicolo ‘K’. Questo strumento, riservato a situazioni di persone scomparse o in condizioni di vulnerabilità all’estero, testimonia la gravità percepita del caso e l’urgenza di un intervento.I legali della famiglia, Maurizio Basile e Benedetto Marzocchi Buratti, si fanno carico di “stressare” i canali diplomatici, consapevoli che questioni geopolitiche potrebbero influenzare il trattamento riservato ai detenuti italiani e europei nelle carceri venezuelane. La priorità è garantire che Burlò riceva le cure mediche necessarie per la sua patologia diabetica, con parametri dignitosi e rispettosi della sua umanità, come riferito dal quotidiano La Stampa. L’assenza di un contatto telefonico con i suoi cari acuisce ulteriormente la sofferenza della famiglia, amplificando il senso di incertezza e la speranza di un rapido ritorno a casa. La vicenda Burlò si configura quindi come un campanello d’allarme sulla fragilità dei diritti umani in contesti internazionali complicati e sull’importanza di un impegno diplomatico costante per la tutela dei cittadini italiani all’estero.