La revisione della spesa militare, un tempo percepita come un’esigenza isolata avanzata con forza dall’amministrazione Trump, si sta evolvendo in un cardine strutturale per il futuro della NATO. L’insistenza di figure come Pete Hegseth, erede spirituale del pensiero del tycoon, ha contribuito a spostare il dibattito, alimentando una riflessione più ampia all’interno dell’Alleanza Atlantica. Questo rinnovato focus non si traduce semplicemente in un aumento di budget, ma in una profonda riorganizzazione delle priorità e una ridefinizione del concetto stesso di sicurezza collettiva.Il recente accordo sui nuovi obiettivi di capacità della NATO testimonia questo cambiamento di paradigma, e ora il segretario generale Mark Rutte si appresta a presentare ai leader riuniti all’Aja un piano dettagliato per concretizzare l’ambizione americana, integrando al contempo le esigenze e le capacità europee. L’obiettivo delineato non è un mero dato numerico, ma un imperativo strategico: un investimento annuale pari al 3,5% del Prodotto Interno Lordo destinato agli armamenti, affiancato da un ulteriore 1,5% da reinvestire in aree cruciali per la resilienza e la proiezione di potenza.Questo secondo pilastro, spesso trascurato nelle discussioni più immediate, riveste un’importanza capitale. Non si tratta solo di modernizzare le infrastrutture militari, ma di rafforzare la base industriale della difesa europea, promuovendo l’innovazione tecnologica e riducendo la dipendenza da fornitori esterni. L’investimento in sicurezza strategica implica anche la protezione delle infrastrutture critiche, lo sviluppo di capacità di risposta alle minacce ibride (cyberattacchi, disinformazione, pressioni economiche) e il potenziamento della cooperazione con i partner strategici.La sfida non è solo finanziaria, ma anche politica e organizzativa. La distribuzione dei carichi, la condivisione delle informazioni, la standardizzazione dei sistemi d’arma e la capacità di agire in modo coordinato e rapido sono elementi chiave per il successo del nuovo piano. La dispersione degli sforzi e la mancanza di interoperabilità rischiano di vanificare anche l’ingente investimento previsto. Inoltre, l’aumento della spesa militare solleva questioni di sostenibilità fiscale e di impatto sociale, richiedendo un approccio equilibrato e trasparente. La NATO si trova di fronte a un bivio: tradurre la visione di un’Europa forte e indipendente in un’azione concreta, sostenibile e condivisa.