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Ritorno all’UNESCO: gli USA tra storia, ideologia e agenda woke

Il ritorno alla porta dell’UNESCO da parte degli Stati Uniti, sotto la presidenza di Donald Trump, rappresenta un atto politico carico di implicazioni storiche, ideologiche e diplomatiche.
Questa decisione, annunciata con forza, non è un evento isolato, ma si inserisce in una sequenza di precedenti, segnando un’ulteriore tensione tra Washington e le istituzioni multilaterali.
L’amministrazione Trump, con la consueta retorica, denuncia presunte derive “anti-americane” e “anti-israeliane” all’interno dell’organizzazione, aggiungendo un’accusa più recente e controversa: l’adesione a un’agenda “woke”.

Per comprendere appieno la portata di questa decisione, è necessario analizzare il rapporto complesso che gli Stati Uniti hanno avuto con l’UNESCO fin dalla sua fondazione.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, nata nel 1945 con l’obiettivo di promuovere la pace attraverso la cooperazione intellettuale e culturale, ha visto gli Stati Uniti come uno dei suoi sostenitori finanziari e ideologici più importanti.
Tuttavia, questa relazione non è mai stata priva di attriti.

Già in passato, Washington ha manifestato dissenso per alcune decisioni dell’UNESCO, in particolare quelle riguardanti la gestione del patrimonio culturale e la definizione di siti di importanza storica e religiosa.
Le accuse di “anti-americanismo” e “anti-israelianismo” sono state sollevate in precedenza, spesso in riferimento a posizioni dell’organizzazione su questioni legate alla presenza israeliana nei territori palestinesi.

Queste critiche si concentrano su presunti pregiudizi nei confronti delle politiche israeliane, percepiti come una distorsione degli obiettivi di imparzialità e neutralità che dovrebbero guidare l’UNESCO.

L’aggiunta della critica all’ “agenda woke” introduce una nuova dimensione alla disputa.

Questo termine, utilizzato in senso dispregiativo da parte di alcuni conservatori americani, si riferisce a un insieme di posizioni e iniziative considerate eccessivamente sensibili su temi come la giustizia sociale, l’identità di genere e la diversità culturale.

L’accusa di essere influenzata da un’agenda “woke” suggerisce che l’UNESCO stia anteponendo considerazioni ideologiche a principi di oggettività e universalità, compromettendo così la sua credibilità.
La decisione di ritirarsi dall’UNESCO non è solo una questione di politica interna americana, ma ha conseguenze globali.

L’UNESCO svolge un ruolo cruciale nella protezione del patrimonio culturale mondiale, nella promozione dell’istruzione e della ricerca scientifica, e nel favorire il dialogo interculturale.

La perdita del contributo finanziario e della presenza degli Stati Uniti potrebbe indebolire l’organizzazione e limitarne la capacità di raggiungere i suoi obiettivi.
Al contempo, la decisione di Trump pone interrogativi più ampi sulla natura del multilateralismo e sul ruolo degli Stati Uniti nel panorama internazionale.

La tendenza a privilegiare gli interessi nazionali rispetto agli impegni internazionali, e la crescente diffidenza verso le istituzioni multilaterali, rischiano di erodere la cooperazione globale e di compromettere la capacità di affrontare le sfide comuni.

Il futuro dell’UNESCO, e più in generale quello del sistema delle Nazioni Unite, dipenderà in gran parte dalla capacità di adattarsi a un mondo sempre più complesso e polarizzato, e di riconciliare le esigenze di sovranità nazionale con l’imperativo della solidarietà internazionale.
L’uscita degli USA è un campanello d’allarme, un sintomo di una crisi più profonda nel rapporto tra i paesi e la loro capacità di agire insieme per il bene comune.

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