Il Cimitero Memoriale di Potocari, ai margini di Srebrenica, si è trasformato oggi in un crogiolo di memoria e dolore, accogliendo un flusso ininterrotto di persone fin dalle prime luci dell’alba.
Il traguardo: commemorare il trentennale del genocidio che, nel luglio del 1995, strappò la vita a oltre ottomila uomini e ragazzi bosniaci musulmani, perpetrato dalle forze serbo-bosniache sotto il comando del generale Ratko Mladic, figura ancora oggi fonte di profonda controversia e simbolo di una ferita aperta nel tessuto dell’Europa.
Non si tratta semplicemente di una partecipazione numerosa, ma di un’espressione palpabile di un lutto che si tramanda di generazione in generazione.
Familiari, sopravvissuti, rappresentanti di comunità locali e internazionali, tutti si raccolgono in un silenzio denso di sofferenza, interrotto solo dai singhiozzi soffocati e dalle preghiere recitate.
La vastità dello spazio, punteggiato da un campo infinito di stele bianche, ciascuna a commemorare un nome, un volto, una vita spezzata, amplifica il senso di perdita e di ingiustizia.
La cerimonia di oggi è particolarmente significativa perché prevede il conferimento alla terra di altri sette resti umani, identificati con fatica e meticolosità nel corso degli ultimi dodici mesi.
Un processo lungo e doloroso che coinvolge antropologi forensi, genetisti e volontari, impegnati a ricostruire frammenti di identità strappate alla brutalità della guerra.
I resti, giunti a Potocari due giorni prima in un corteo funebre partito da Visoko e transitato per il centro di Sarajevo, rappresentano un tassello nella ricerca incessante della verità e della giustizia per le vittime e le loro famiglie.
Questa commemorazione va oltre il semplice rituale del ricordo.
È un atto di resistenza contro l’oblio, una testimonianza del bisogno umano di dare un nome al dolore e di onorare la dignità delle vittime.
È un appello alla comunità internazionale per non dimenticare le atrocità del passato e per impegnarsi a prevenire nuove tragedie, alimentate dall’odio etnico e dalla negazione della verità.
Il Cimitero di Potocari, quindi, non è solo un luogo di lutto, ma un monito costante e un invito all’impegno civile, un’eredità di speranza per un futuro di pace e riconciliazione.
La negazione del genocidio, infatti, persiste, alimentata da narrazioni revisioniste che minano il processo di guarigione e ostacolano la costruzione di una società più giusta e inclusiva.
L’importanza di contrastare queste narrazioni, sostenendo la memoria e la verità, non può essere sottovalutata.