L’era Trump, per quanto turbolenta, ha lasciato un’impronta indelebile sul futuro della NATO, culminando in un accordo che risuona con un’apparente risoluzione di tensioni, ma che cela sfide strutturali e implicazioni strategiche complesse. L’apparizione, la constatazione e la vittoria di Trump, come sottolineato, hanno paradossalmente catalizzato una convergenza che altrimenti sarebbe potuta risultare più lenta e diluita. L’ostentata pressione esercitata dal leader americano ha agito da acceleratore, spingendo i paesi membri a formalizzare impegni precedentemente discussi a livello preliminare, concretizzandosi in un aumento significativo delle spese militari.L’accordo raggiunto, che vede l’impegno degli alleati a destinare almeno il 3,5% del Prodotto Interno Lordo annualmente alla difesa entro il 2035, rappresenta un punto di svolta. La divisione implicita, quella 3,5+1,5%, sebbene non esplicitamente codificata, riflette una dinamica più ampia: la necessità di un riallineamento delle responsabilità e degli investimenti all’interno dell’alleanza atlantica. Questa divisione non è semplicemente numerica, ma incarna un diverso approccio alla sicurezza transatlantica, con gli Stati Uniti che sembrano richiedere un contributo più robusto da parte dei partner europei.Tuttavia, l’impegno finanziario a sé stante non garantisce una maggiore efficacia della NATO. La semplice iniezione di capitali non è sufficiente a risolvere le problematiche intrinseche dell’alleanza, che si estendono a livello di interoperabilità, capacità tecnologiche e sviluppo di strategie di difesa adeguate alle sfide del XXI secolo. L’aumento delle spese militari deve essere accompagnato da una profonda riflessione su come tali risorse siano impiegate, promuovendo l’innovazione, la cooperazione industriale e la specializzazione delle capacità tra i paesi membri.Inoltre, l’accordo solleva interrogativi sulla sostenibilità di tali impegni nel lungo periodo. La volatilità dei contesti politici interni ai singoli paesi, le priorità economiche concorrenti e le fluttuazioni del Prodotto Interno Lordo potrebbero mettere a dura prova la capacità di mantenere tali livelli di finanziamento nel tempo. Un impegno formale, privo di flessibilità e di meccanismi di revisione, rischia di generare frustrazione e di erodere la fiducia all’interno dell’alleanza.L’eredità dell’era Trump sulla NATO non è quindi semplicemente quella della sopravvivenza, ma di una trasformazione in atto. Un’alleanza che deve reinventarsi, non solo in termini finanziari, ma anche in termini di governance, di capacità e di ruolo strategico in un mondo sempre più complesso e multipolare. L’accordo rappresenta un punto di partenza, ma il vero successo dipenderà dalla capacità di affrontare le sfide intrinseche e di adattarsi a un panorama geopolitico in continua evoluzione. La NATO deve dimostrare di essere più che una somma di investimenti militari; deve essere un pilastro di sicurezza condivisa, basato su valori comuni e su una visione strategica condivisa per il futuro.