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Trump: un anno di rinascita tra promesse e propaganda

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Davanti alla maestosità della Diplomatic Room, Donald Trump ha tracciato un quadro netto del suo approccio alla presidenza, presentandosi come l’architetto di una rinascita economica e di una ritrovata stabilità nazionale.
Il suo discorso, breve ma denso, ha rappresentato una vigorosa difesa delle sue politiche, delineando un contrasto marcato con la presunta eredità disastrosa lasciata dal predecessore.

Lungi dall’affrontare in modo approfondito la complessità delle dinamiche geopolitiche, con un’unica, velata allusione alla situazione di Gaza, l’attenzione del presidente si è concentrata sulla riaffermazione dei successi interni.

La narrazione ha ruotato attorno al concetto di riscatto: il superamento di un periodo di stagnazione e declino, con la promessa di un futuro prospero.
L’enfasi è stata posta sulla risoluzione di conflitti, non in termini di negoziati diplomatici, ma come intervento deciso e risolutivo.

La “pace in Medio Oriente”, presentata come un risultato tangibile, ha contribuito a rafforzare l’immagine di un leader capace di gestire crisi complesse.
L’omissione di riferimenti specifici a Ucraina e Venezuela, sebbene strategica, ha contribuito a focalizzare l’attenzione sulle priorità interne.
L’attacco ai democratici, presentato come responsabile del caos preesistente, ha funto da catalizzatore per l’elenco dei presunti successi.
La sicurezza del confine, il rallentamento dell’inflazione, la crescita salariale superiore all’aumento dei prezzi: elementi chiave di una narrazione volta a dimostrare l’efficacia delle politiche implementate in soli undici mesi.

La consapevolezza delle crescenti preoccupazioni economiche, manifestate dall’aumento del tasso di disoccupazione e dalla persistenza dell’inflazione al di sopra degli obiettivi della Federal Reserve, non è stata ignorata.

La promessa di un nuovo presidente della banca centrale, incline a politiche di tassi di interesse bassi, ha rappresentato un tentativo di placare le inquietudini e proiettare un’immagine di controllo e direzione.
Un elemento inedito, il “warrior dividend” di 1.776 dollari destinato ai militari, si è configurato come un gesto simbolico, una dimostrazione tangibile di gratitudine e un tentativo di consolidare il consenso popolare in vista delle festività natalizie.
L’esaltazione dei benefici derivanti dai dazi, descritti come la “mia parola preferita”, e la menzione di 18.000 miliardi di investimenti attratti negli Stati Uniti, hanno contribuito a dipingere un quadro di rinnovata attrattiva economica e di influenza globale.

La frase conclusiva, “Un anno fa eravamo un paese morto.

Ora facciamo invidia al mondo,” ha incarnato la visione di una nazione risorta, pronta a riaffermare la sua posizione di leadership a livello globale.
L’appello alla pazienza, in attesa di risultati più ampi nel prossimo anno, ha sottolineato l’importanza di una visione a lungo termine e della fiducia nelle politiche intraprese.

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