L’alba, gelida e silenziosa, si è fatta portatrice di una violenza inaudita.
Un commando di dieci individui, i volti celati dietro maschere, ha fatto irrompere nel cuore della notte in una comunità palestinese in Cisgiordania, una casa che ospitava tre volontari italiani e una cittadina canadese.
La loro missione, promuovere la solidarietà e documentare le condizioni di vita in un territorio conteso, è stata bruscamente interrotta da un’aggressione brutale e premeditata.
L’atto non è un episodio isolato, ma parte di una tendenza allarmante: la sistematica escalation di violenze perpetrate da coloni israeliani nei confronti della popolazione palestinese e di chi, come i volontari, si schiera al loro fianco.
Le aggressioni, inizialmente verbali, si sono trasformate in atti di vandalismo e, ora, in violenze fisiche dirette, perpetrate con una crescente impunità.
Il metodo è agghiacciante nella sua efficacia intimidatoria: svegliare le vittime di soprassalto, privarle del senso di sicurezza, e infliggere una serie di percosse mirate.
Pugni, schiaffi, calci alle costole, all’addome e alle gambe – un crescendo di violenza fisica culminato in una minaccia esplicita: l’esclusione forzata, l’interdizione di ritorno, una forma di pulizia etnica silenziosa.
L’episodio di Ein al-Duyuk, vicino a Gerico, non è solo un attacco a quattro individui innocenti, ma un attacco al principio stesso della presenza umanitaria in Cisgiordania.
È un chiaro messaggio rivolto a chiunque intenda testimoniare le disuguaglianze, le privazioni e le ingiustizie che affliggono la popolazione palestinese.
Dietro questa violenza, si celano dinamiche complesse: la continua espansione degli insediamenti illegali, la fragilità del sistema giudiziario palestinese, l’impunità garantita dalle autorità israeliane, e una retorica nazionalista sempre più radicale.
La comunità internazionale, pur condannando gli atti di violenza, fatica a tradurre le parole in azioni concrete per proteggere i palestinesi e i loro sostenitori.
L’aggressione a Ein al-Duyuk solleva interrogativi urgenti sulla sicurezza dei volontari umanitari, sulla protezione dei diritti umani in Cisgiordania, e sulla necessità di un’azione globale più incisiva per promuovere la giustizia e la pace in una regione martoriata da decenni di conflitto.
È un campanello d’allarme che non può essere ignorato, un appello a non abbandonare chi, sul campo, si impegna a costruire un futuro più giusto e dignitoso per tutti.






