La scomparsa di Annamaria Gatto lascia un vuoto inestimabile nel panorama giudiziario italiano, un patrimonio di umanità e rigore che difficilmente potrà essere sostituito.
Più che una magistrata, Gatto è stata una figura guida, un punto di riferimento per chi, nel sistema giudiziario, non dimentica che la giustizia, per essere tale, deve incarnare la tutela dei più deboli, un imperativo morale che ha guidato ogni sua azione professionale.
Nata a Napoli nel 1952, la sua carriera si è intrecciata con alcuni dei capitoli più complessi e travagliati della storia recente italiana.
L’inizio della sua attività, in Procura a Milano, si è consumato durante gli anni di piombo, un’epoca segnata da violenza politica e instabilità sociale.
La sua partecipazione al pool di magistrati che interrogò Walter Alasia, figura chiave in quel contesto drammatico, testimonia la sua capacità di affrontare situazioni di grande delicatezza e complessità.
L’inchiesta P2, con le sue implicazioni profonde e oscure, ne ha ulteriormente affinato il senso critico e la ricerca della verità.
La transizione a Pretore, nel 1984, le ha offerto l’opportunità di confrontarsi direttamente con le vicende di persone comuni, spesso coinvolte in situazioni marginali e dolorose.
L’episodio di via Bellerio, con la condanna degli allora vertici della Lega Nord, Umberto Bossi e Roberto Calderoli, è un esempio lampante del suo impegno per l’applicazione rigorosa della legge, a prescindere da posizioni politiche o influenze esterne.
L’esperienza affianco del giudice Angelo Culotta, che lei stessa definiva un “maestro”, ha contribuito a plasmare il suo approccio al diritto, focalizzato sull’equilibrio tra fermezza e compassione.
La presidenza della quinta sezione penale del Tribunale di Pavia ha rappresentato un ulteriore tassello nella sua carriera, consentendole di presiedere processi di rilevante importanza, come quelli legati alla scalata di Antonveneta e al controverso caso Ruby.
In ogni vicenda, Gatto ha dimostrato una particolare attenzione alle dinamiche di potere e alle fragilità umane, riconoscendo la distinzione cruciale tra “deboli” e “vulnerabili”, quest’ultimi meritevoli di una protezione ancora più intensa.
L’impegno di Annamaria Gatto non si è limitato all’esercizio del potere giudiziario.
La sua sensibilità e la sua visione globale l’hanno spinta a dedicarsi a progetti di volontariato e a iniziative di cooperazione internazionale.
Il progetto del 2009, realizzato in collaborazione con l’organizzazione Differenza Donna e finanziato dalla Farnesina, per la creazione di un centro di accoglienza per donne vittime di violenza in Palestina, unitamente al programma di formazione per magistrati palestinesi, ne è la testimonianza più emblematica.
Questa iniziativa, che si è estesa alla formazione di magistrati palestinesi, ha rappresentato un atto di solidarietà e un contributo concreto alla promozione dei diritti umani in un contesto particolarmente difficile.
Dopo il meritato pensionamento, Gatto ha trovato rifugio nei suoi hobby, riscoprendo il piacere del restauro di vecchi mobili e coltivando la passione per la musica, cimentandosi nell’apprendimento della batteria.
La sua improvvisa scomparsa, avvenuta durante una vacanza, priva il mondo giudiziario e la società civile di una figura di spicco, lasciando un’eredità di integrità, competenza e profonda umanità che continuerà a ispirare le future generazioni di magistrati.
La sua vita è stata un esempio di come la giustizia possa essere esercitata con rigore, ma sempre con un cuore aperto alla sofferenza altrui.