L’utilizzo del braccialetto elettronico, strumento potenzialmente rivoluzionario nel panorama della giustizia penale italiana, si rivela spesso compromesso da criticità operative che ne inficcionano l’efficacia e sollevano interrogativi sul rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti.
Originariamente concepito come alternativa alla detenzione carceraria o come modalità di monitoraggio durante le misure cautelari, il dispositivo si presenta, nella prassi, come un nodo intricato di problematiche logistiche e procedurali.
Il braccialetto, destinato a facilitare l’accesso alla libertà vigilata per individui sottoposti a misure cautelari o in regime di detenzione domiciliare, si trova, in molti casi, a determinare ingiuste prolungazioni della permanenza in carcere.
La denuncia del Garante campano per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, Samuele Ciambriello, mette in luce una situazione allarmante: i ritardi nell’attivazione dei dispositivi, spesso protratti per giorni e settimane, contrastano apertamente con le aspettative di rapida liberazione generate dalla concessione del beneficio.
L’esperienza diretta di detenuti che, pur avendo ottenuto l’autorizzazione all’utilizzo del braccialetto, attendono invano la sua installazione, è una testimonianza tangibile delle lacune esistenti.
Queste attese, lunghe e incerte, generano un senso di frustrazione e ingiustizia, destabilizzando il percorso di reinserimento sociale che la misura stessa dovrebbe agevolare.
L’inadeguatezza della fornitura, elemento cruciale per garantire il corretto funzionamento del sistema, si configura come il fulcro del problema.
L’attuale capacità di attivazione, limitata a 1200 dispositivi al mese, si rivela insufficiente a soddisfare la domanda, creando un accumulo di richieste e allungando i tempi di attesa.
L’appello del Garante all’attenzione del Ministro dell’Interno, responsabile del contratto con Fastweb, sottolinea l’urgenza di incrementare significativamente il numero di braccialetti disponibili.
Il dato complessivo, che indica la presenza di 13.
000 braccialetti elettronici attivi in Italia, con una prevalenza (circa 5.
800) destinati al monitoraggio di persone accusate di stalking e 7.
000 impiegati per altre forme di controllo, non mitiga la gravità della situazione.
La necessità di una risoluzione rapida e concertata tra i Ministeri della Giustizia e dell’Interno è impellente, al fine di evitare che centinaia di persone continuino a scontare pene carcerarie prolungate, in contrasto con i principi di celerità processuale e di proporzionalità della pena.
L’implementazione efficace del braccialetto elettronico richiede non solo investimenti tecnologici, ma anche una revisione dei processi amministrativi e una maggiore coordinazione tra le diverse istituzioni coinvolte, per garantire il rispetto dei diritti costituzionali e la reale efficacia di uno strumento potenzialmente innovativo nel sistema penale.