La recente decisione della Corte d’Assise d’Appello di Napoli ha generato un terremoto nel panorama giudiziario antimafia, ridefinendo le responsabilità legate al brutale omicidio di Michele Della Gatta, avvenuto nel 1999. L’assoluzione di Michele Zagaria, storico capo del clan dei Casalesi, dall’accusa di essere il mandante del delitto, cancella la condanna a trent’anni di reclusione inflittagli in precedenza dal giudice preliminare Giovanni De Angelis. Questa svolta inattesa, benché radicale, lascia inalterata la condanna degli altri imputati coinvolti, in particolare Vincenzo Schiavone, soprannominato “Petillo”, a cui restano addebiti trentennali, e Antonio Iovine, ex capo clan divenuto collaboratore di giustizia, con una pena ridotta a dieci anni e otto mesi, già confermata in precedenza.Il caso Della Gatta, per quasi due decenni, ha rappresentato un enigma per le autorità. Inizialmente, l’indagine condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Napoli si era conclusa con un’archiviazione, testimoniando la capacità del clan dei Casalesi di operare nell’ombra, proteggendo i suoi membri e ostacolando le indagini. L’archiviazione rifletteva la difficoltà di ricostruire la dinamica dell’omicidio e di identificare i responsabili in assenza di prove concrete e testimonianze affidabili.La svolta decisiva è giunta con la collaborazione di figure chiave all’interno del clan. Nicola Schiavone, figlio primogenito di Francesco Schiavone, noto come “Sandokan”, e Antonio Iovine, entrambi figure di spicco nella struttura mafiosa, hanno iniziato a divulgare informazioni cruciali. Le loro rivelazioni hanno aperto nuovi interrogativi e fornito elementi inattesi, modificando radicalmente la prospettiva investigativa. La collaborazione, pur rappresentando uno strumento fondamentale nella lotta alla criminalità organizzata, solleva complesse questioni etiche e operative, legati alla credibilità delle dichiarazioni e al peso delle motivazioni che hanno spinto i collaboratori a cambiare versione. L’assoluzione di Zagaria, sebbene basata sulle nuove valutazioni della Corte d’Appello, riapre il dibattito sulla complessità delle indagini in materia di criminalità organizzata, dove l’accertamento della verità si scontra spesso con la reticenza dei testimoni, la difficoltà di reperire prove inequivocabili e l’influenza di dinamiche interne al clan, in cui il silenzio e la lealtà sono valori fondamentali. Il verdetto evidenzia la fragilità delle prove in assenza di un quadro probatorio solido e in grado di resistere a un esame critico in sede di appello, sottolineando la necessità di una costante revisione delle strategie investigative e della valorizzazione di tutte le fonti di informazione disponibili. La vicenda, pertanto, si configura come un monito per il futuro, esortando la magistratura a rafforzare gli strumenti di indagine e a garantire la massima trasparenza nel processo decisionale, per assicurare che la giustizia sia realmente applicata, a tutela della legalità e della sicurezza dei cittadini.
Caso Della Gatta: Svolta a Napoli, Assolto Zagaria
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