La vicenda solleva interrogativi complessi attorno alla riabilitazione, alla tutela dei diritti umani in ambito carcerario e ai delicati equilibri tra sicurezza e intimità personale.
Un detenuto, ristretto nella sezione alta sicurezza 3 del carcere di Terni, si è visto negare, per la seconda volta, la possibilità di usufruire di colloqui riservati con la moglie all’interno della stanza dedicata all’affettività, un servizio introdotto nel penitenziario solo di recente.
La Direzione dell’istituto, inizialmente contraria, aveva giustificato il diniego con due motivi principali: la scoperta, nel 2023, di un telefono cellulare in possesso del detenuto e, soprattutto, i legami della moglie con figure di spicco della criminalità organizzata, un elemento percepito come potenziale rischio per la sicurezza interna.
Tuttavia, l’istanza presentata dal detenuto, con l’assistenza del suo avvocato Francesco Mattiangeli, ha trovato accoglimento da parte dell’Ufficio di Sorveglianza di Spoleto, presieduto dal magistrato Fabio Gianfilippi.
La decisione si è basata sulla recente sentenza n.
10 del 2024 della Corte Costituzionale, che riveste un ruolo cruciale nella tutela dei diritti fondamentali anche all’interno del contesto carcerario, spingendo a una revisione delle prassi restrittive.
Il magistrato, nell’ordinanza che ha accolto il ricorso, ha evidenziato non solo la buona condotta del detenuto, testimoniata anche dal conseguimento del diploma di maturità, ma ha sottolineato un aspetto fondamentale: i colloqui ordinari, già in atto, sono sottoposti a controllo visivo e auditivo.
Questa circostanza, apparentemente contraddittoria rispetto alle preoccupazioni espresse dalla Direzione, è stata interpretata come una dimostrazione del fatto che il rischio di comunicazione illecita può sussistere anche durante i colloqui standard.
La decisione del magistrato si fonda su un principio di proporzionalità: limitare l’intimità affettiva senza un aumento significativo del livello di sicurezza non appare giustificabile.
Si riconosce, inoltre, che l’esclusione dei colloqui intimi, in realtà, non elimina il rischio di contatto esterno, poiché questi può avvenire anche tramite i colloqui ordinari, dove la moglie, in qualità di familiare, potrebbe fungere da vettore di informazioni.
La stessa ordinanza ribadisce che colloqui intimi e familiari sono soggetti a controlli e perquisizioni, nel rispetto della legge.
Questa vicenda non è un caso isolato.
Precedentemente, un altro detenuto nello stesso carcere era già stato autorizzato a colloqui intimi, suggerendo che la possibilità di usufruire di questo diritto non è di per sé incompatibile con la sicurezza carceraria, ma richiede un’attenta valutazione del singolo caso e l’adozione di misure di controllo adeguate.
Il caso solleva interrogativi importanti sul bilanciamento tra la necessità di garantire la sicurezza all’interno del carcere e il diritto del detenuto a mantenere relazioni affettive, pilastro fondamentale per la sua rieducazione e reinserimento sociale.
La decisione dell’Ufficio di Sorveglianza di Spoleto, pertanto, rappresenta un importante punto di riferimento per l’interpretazione e l’applicazione della normativa in materia di diritti carcerari.