L’esigenza di regolarizzare situazioni edilizie preesistenti, un tema ciclicamente riproposto nel dibattito politico italiano, solleva interrogativi profondi che vanno ben oltre la mera gestione burocratica.
L’apertura di un nuovo condono edilizio, come proposto dall’emendamento di Fratelli d’Italia alla manovra finanziaria, genera inevitabilmente un cortocircuito di logiche, evidenziando una contraddizione latente nel sistema politico.
La critica sollevata dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, è precisa: se da un lato si stigmatizzano i condoni come strumenti inefficaci e potenzialmente dannosi per l’applicazione della legge, dall’altro, le stesse forze politiche critiche si mostrano disposte a ricorrere a misure analoghe per altre categorie di irregolarità, come quelle relative ai permessi di soggiorno degli immigrati.
Questa apparente incoerenza suggerisce che la decisione di concedere o negare un condono non sia sempre guidata da principi di giustizia o efficienza, ma piuttosto da calcoli strategici e considerazioni di convenienza politica.
Il condono, in sé, non è un concetto intrinsecamente negativo.
Rappresenta, potenzialmente, un’opportunità per sanare situazioni complesse, spesso generate da normative poco chiare o da una burocrazia farraginosa.
Permette di “resettare” procedure, di offrire una seconda possibilità a cittadini e imprese che si sono trovati in difficoltà, e di liberare risorse che altrimenti sarebbero vincolate a contenziosi legali.
Tuttavia, la concessione indiscriminata di condoni rischia di minare la credibilità del diritto, di incentivare comportamenti irregolari e di compromettere la sostenibilità del territorio.
La posizione del ministro Piantedosi, che sottolinea l’equità di estendere a tutti i cittadini campani un beneficio già concesso in passato ad altre regioni, tocca un punto cruciale: il principio di parità di trattamento.
È innegabile che le disparità normative e amministrative tra le diverse aree del Paese creino frustrazione e generino iniquità.
Tuttavia, la soluzione non può essere quella di perpetuare un sistema di deroghe e di agevolazioni, ma piuttosto quella di uniformare le regole e di garantire un’applicazione coerente su tutto il territorio nazionale.
La questione del condono, quindi, non si riduce a una semplice operazione di regolarizzazione edilizia.
Si tratta di un sintomo di un problema più ampio: la difficoltà del sistema politico italiano di affrontare in modo trasparente e responsabile le questioni complesse, ricorrendo spesso a soluzioni di compromesso che acuiscono le disuguaglianze e minano la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
È necessario un approccio più olistico che tenga conto non solo delle esigenze immediate di regolarizzazione, ma anche delle implicazioni a lungo termine per l’ambiente, per l’economia e per la coesione sociale.
Un condono, se necessario, dovrebbe essere l’eccezione, non la regola, e accompagnato da misure strutturali che prevengano il ripetersi di situazioni analoghe in futuro.







