Il Corso Italia, fulcro pulsante di Ercolano, si è trasformato in un palcoscenico inatteso, teatro di comportamenti che sollevano interrogativi profondi sulla responsabilità genitoriale e la tenuta del tessuto sociale. Il racconto del parroco Marco Ricci, custode spirituale di una comunità in evoluzione, dipinge un quadro preoccupante: il corso, da luogo di incontro e socializzazione, è divenuto terreno di sfrenatezza giovanile, un circuito improvvisato per scooter e monopattini, un eco di schiamazzi notturni che si protrae fino alle prime ore del mattino.L’emergenza non è meramente una questione di ordine pubblico, facilmente risolvibile con un aumento delle pattuglie o un irrigidimento delle sanzioni. Il nodo cruciale risiede in una più ampia riflessione sulla funzione genitoriale, spesso delegata all’esterno, in un contesto segnato dalla complessità dei rapporti sociali e dalla frammentazione delle reti familiari. Il parroco non accusa le forze dell’ordine, sempre disponibili alla collaborazione, ma indirizza la sua critica verso un diffuso senso di abbandono delle responsabilità, un disimpegno che si manifesta con la mancanza di controllo sui figli, con la loro presenza in luoghi non sicuri, in orari impropri.L’appello è un grido di allarme, una richiesta di presa di coscienza. Non si tratta di individuare capri espiatori, di addossare la colpa a istituzioni o amministrazioni. La responsabilità è individuale, è genitoriale. La generalizzazione, la tendenza a scaricare il peso delle proprie mancanze su un collettivo indefinito, è una trappola che impedisce di affrontare la questione con lucidità e determinazione.La riflessione del parroco si arricchisce di una profondità teologica, richiamando il pensiero di Sant’Agostino, figura chiave per la tradizione cristiana. La speranza, fulcro del Giubileo, non è un sentimento passivo, ma un’azione concreta, alimentata dallo sdegno di fronte alle ingiustizie e dal coraggio di intervenire. La perdita di questo senso di indignazione, la rassegnazione di fronte al degrado, sono sintomi di una crisi più profonda.È necessario riscoprire il senso del bene comune, il valore della comunità, la consapevolezza che il benessere individuale è strettamente legato al benessere collettivo. Non si tratta di stigmatizzare, ma di educare alla responsabilità, di promuovere modelli positivi, di rafforzare i legami familiari e sociali. Individuare i genitori dei ragazzi coinvolti non è un atto di accusa indiscriminata, ma un tentativo di sollecitare un intervento diretto, un confronto costruttivo. Solo così si potrà restituire al Corso Italia la sua autentica vocazione di luogo di incontro e di crescita, un luogo in cui i giovani possano esprimere la loro energia in modo sano e responsabile, contribuendo attivamente alla costruzione di una comunità più giusta e solidale. La sfida è ardua, ma non possiamo sottrarci al nostro dovere di custodi del futuro.
Ercolano: Corso Italia, tra degrado giovanile e appello alla responsabilità.
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