A Melito di Napoli, un’abitazione ordinaria si rivela un rifugio strategico per il clan Amato-Pagano, un’entità criminale scissionista che operava nell’ombra, sfruttando la complicità di figure apparentemente estranee al mondo della malavita organizzata.
L’inchiesta, condotta dalla Direzione Investigativa Antimafia di Napoli sotto la guida di Antonio Galante e coordinata dal sostituto procuratore Sergio Amato, ha portato all’emissione di undici misure cautelari, svelando una rete intricata di relazioni e attività illecite.
L’indagine ha messo a luce non solo l’associazione mafiosa in sé, ma anche una serie di reati affini che ne alimentavano l’operatività: l’intestazione fittizia di beni, un meccanismo volto a occultare la vera proprietà di risorse finanziarie e immobiliari, e il riciclaggio di denaro sporco, un’operazione volta a reimmaginarne la provenienza illecita.
Questi crimini, aggravati dalle circostanze, testimoniano la sofisticatezza e l’adattabilità del clan, capace di sfruttare le debolezze del sistema legale e finanziario.
Un elemento particolarmente inquietante emerso dall’indagine è la sistematica intimidazione rivolta a coloro che, con legittima proprietà, acquisivano beni immobili attraverso aste giudiziarie.
Questa pratica, volta a monopolizzare il controllo del territorio e a soffocare l’iniziativa economica leale, rappresentava una vera e propria forma di estorsione di massa, volta a mantenere il clan come unico arbitro delle dinamiche territoriali.
Un episodio documentato con precisione attraverso intercettazioni telefoniche ha cristallizzato la natura estorsiva delle richieste del clan. La conversazione, che si concludeva con una negoziazione che riduceva una richiesta iniziale di 10.000 euro a un “regalo” di soli 3.000 euro, rivelava una logica spietata e un’assunzione di potere che travalicava i limiti della legalità.
Le parole, apparentemente colloquiali, nascondevano una minaccia implicita e una pretesa ineludibile.
L’elusione dei controlli finanziari era un’altra componente essenziale della strategia criminale.
Auto e motocicli di lusso, beni di elevato valore commerciale, venivano intestati a società fittizie riconducibili a imprenditori compiacenti, che agivano come prestanome.
Per mascherare ulteriormente la proprietà, venivano predisposti falsi contratti di noleggio, documenti manipolati con l’unico scopo di ingannare le autorità.
L’indagine ha inoltre evidenziato un sofisticato sistema di riciclaggio di denaro sporco, un percorso tortuoso volto a ripulire i proventi delle attività illecite.
Somme ingenti venivano versate su carte di credito prepagate, strumenti ideali per eludere i controlli e trasferire il denaro all’estero, in particolare in Spagna, dove poteva essere reimmesso nel circuito finanziario con una nuova identità.
L’autoriciclaggio, ovvero la reintroduzione nel circuito finanziario del denaro proveniente da attività illecite, completa il quadro di una criminalità organizzata dotata di ingenti risorse economiche e di una capacità di adattamento senza pari.






