La recente sentenza della Corte d’Appello di Roma segna un capitolo significativo nella complessa vicenda giudiziaria legata alle minacce rivolte al giornalista Roberto Saviano e alla collega Rosaria Capacchione, risalenti al 2008.
La decisione, che conferma le condanne in primo grado, consolida la condanna a un anno e mezzo di reclusione per Francesco Bidognetti, figura di spicco all’interno della dinamica struttura di comando della cosiddetta “cupola” del clan Camorra dei Casalesi, e a un anno e due mesi per l’avvocato Michele Santonastaso, coinvolto nello stesso contesto.
L’episodio incriminato si inserisce cronologicamente nel corso del processo di appello “Spartacus”, celebrato a Napoli e volto ad accertare le responsabilità del clan dei Casalesi in una serie di gravi reati, tra cui associazione a delinquere, estorsione e omicidio.
Durante quella udienza, in un clima di tensione palpabile, frasi intimidatorie e minacce dirette ai giornalisti Saviano e Capacchione, presenti come cronisti dell’evento, rappresentarono una chiara e inequivocabile ostacolo alla libera informazione e alla corretta amministrazione della giustizia.
La sentenza della Corte d’Appello di Roma non si limita a sanzionare i singoli individui responsabili delle minacce, ma riflette una più ampia riflessione sul delicato rapporto tra giornalismo d’inchiesta, criminalità organizzata e sistema giudiziario.
La presenza come parte civile della Federazione Nazionale dei Servizi di Informazione (Fnsi) e dell’Ordine dei Giornalisti sottolinea l’importanza di tutelare la libertà di stampa e di garantire la sicurezza dei professionisti dell’informazione, spesso esposti a rischi e pressioni significative nel loro lavoro di denuncia.
La vicenda solleva interrogativi cruciali sulla capacità dello Stato di proteggere i giornalisti impegnati in inchieste di interesse pubblico, e sulla necessità di rafforzare i meccanismi di tutela e di prevenzione, anche attraverso una maggiore attenzione al contesto sociale e culturale in cui si sviluppano tali fenomeni.
La sentenza della Corte d’Appello rappresenta, dunque, non solo una vittoria per la giustizia, ma anche un monito a vigilare costantemente sulla libertà di stampa e sulla sua imprescindibile funzione democratica, soprattutto in un’epoca caratterizzata da crescenti sfide e minacce alla sua integrità.
Il caso evidenzia la persistente capacità delle organizzazioni criminali di esercitare pressioni e intimidazioni, e la necessità di un impegno costante da parte di tutte le istituzioni per contrastare tali fenomeni e garantire un ambiente sicuro per i giornalisti.