Nel dicembre del 2018, una complessa vicenda giudiziaria si sviluppò a Napoli, sollevando delicate questioni di diritto, etica medica e libertà religiosa.
Una paziente, di origine filippina e professante la fede dei Testimoni di Geova, si trovò in condizioni critiche e ricoverata presso l’ospedale Cardarelli.
All’atto del ricovero, la donna aveva lasciato un documento, conforme alla normativa del biotestamento introdotto nel 2017, che esprimeva la sua ferma volontà di rifiutare trasfusioni di sangue, un trattamento profondamente contrastante con le sue convinzioni religiose, intrinsecamente legate al rispetto dell’integrità fisica post-mortem.
La situazione si presentò come un dilemma etico e legale di notevole gravità.
Di fronte a un quadro clinico che appariva irreversibile e con la vita della paziente appesa a un filo, il personale medico, dopo una valutazione approfondita, giudicò la trasfusione come l’unica possibilità di salvare la sua esistenza.
Nonostante ciò, la paziente, verbalmente, ribadì il suo rifiuto, invocando i principi del suo credo.
La decisione di procedere con la trasfusione, in assenza di un rifiuto formalizzato per iscritto, rappresentò un atto gravissimo e spinte la paziente a denunciare i due medici coinvolti per lesioni personali.
Il giudice Armonia De Rosa, dopo un’attenta disamina delle prove e delle circostanze, accolse le richieste di assoluzione presentate dalla difesa e dal pubblico ministero Ciro Capasso, dichiarando presunto assenza di reato.
La sentenza, che verrà motivata e pubblicata entro novanta giorni, non esclude una discussione più ampia sul delicato equilibrio tra l’autodeterminazione del paziente, sancita dal biotestamento, e l’imperativo salvavita del personale sanitario.
L’episodio ha riacceso il dibattito sull’applicazione pratica del biotestamento, evidenziando la necessità di protocolli più chiari e di una maggiore sensibilizzazione da parte di tutti gli attori coinvolti, al fine di evitare situazioni di conflitto e di garantire il pieno rispetto della volontà del paziente, pur nella salvaguardia della sua vita.
La vicenda, inoltre, pone interrogativi fondamentali sul ruolo della fede in contesti sanitari complessi e sulla necessità di un dialogo rispettoso e costruttivo tra diverse culture e sistemi di credenze.







