Davanti al tribunale di Napoli, in Piazza Cenni, si è radunata una folla di circa 150 persone, prevalentemente disoccupati, per esprimere il proprio disappunto e solidarietà verso due manifestanti arrestati in seguito a un violento scontro con le forze dell’ordine.
La protesta, intrisa di simbolismo palestinese con striscioni e bandiere, si preannuncia come un momento di alta tensione, in attesa dello svolgimento del processo per direttissima che vedrà i due imputati affrontare accuse potenzialmente gravose alla luce delle nuove normative governative.
L’episodio, che ha portato all’arresto dei due manifestanti, è l’apice di una frustrazione più ampia, radicata nelle difficoltà incontrate dai disoccupati di lunga data nell’accedere alle opportunità di tirocini retribuiti, i cosiddetti “click day”.
Il sistema, pensato per favorire l’inserimento lavorativo, si è rivelato per molti un labirinto burocratico, alimentando un senso di esclusione e disperazione che ha portato a un’escalation di protesta.
Questa manifestazione, inizialmente non autorizzata, mirava a denunciare l’iniquità del sistema e la difficoltà per i disoccupati di lunga data di accedere a qualsiasi forma di supporto economico e professionale.
Lo scontro con le forze dell’ordine, avvenuto ieri, ha segnato un punto di non ritorno.
Il bilancio è pesante: una decina di agenti hanno riportato ferite di varia gravità, tra cui un dirigente della Digos, costretto a un congedo di 30 giorni a causa della frattura di un dito.
Questo incidente, che ha visto l’impiego di manganelli e lacrimogeni da parte delle forze dell’ordine, ha esacerbato le tensioni sociali, amplificando il senso di rabbia e ingiustizia tra i manifestanti.
Ai due arrestati vengono contestati reati che spaziano dalla resistenza agli agenti, alle lesioni personali, fino al danneggiamento di proprietà pubblica.
Le accuse, aggravate dalle nuove leggi, rischiano di comportare pene severe, sollevando interrogativi sulla proporzionalità della risposta delle autorità in relazione alla gravità delle violazioni commesse.
La vicenda, lungi dall’essere un mero episodio di disordine pubblico, emerge come sintomo di una crisi più profonda, che coinvolge la gestione delle politiche del lavoro, l’accesso ai diritti sociali e il rapporto tra cittadini e istituzioni in un contesto di precarietà e disuguaglianze crescenti.
Il processo per direttissima si configura, pertanto, non solo come un giudizio sui due imputati, ma come un momento di riflessione urgente sulle cause profonde della protesta e sulla necessità di politiche più inclusive e partecipative per affrontare le sfide del mercato del lavoro e garantire una reale opportunità di reinserimento per i disoccupati di lunga data.