Il grido di Pino Noschese, padre di Michele “Godzi” Noschese, risuona come un inno alla resilienza e alla ricerca della verità, ben al di là della dolorosa vicenda che lo riguarda.
La recente disposizione del sequestro della salma, e l’apertura di un fascicolo per omicidio preterintenzionale con conseguente nuova autopsia, rappresentano un capitolo cruciale in un percorso intriso di angoscia e interrogativi.
Ma il post di Noschese trascende la specificità del caso, elevandosi a riflessione universale sulla giustizia, sulla memoria e sulla lotta incessante contro il tempo e le sue ombre.
Non si tratta di una richiesta di vendetta, di un desiderio di rivalsa, ma di una ferma aspirazione alla piena luce della verità, a un’indagine trasparente che possa dissipare ogni dubbio e restituire dignità a un figlio perduto troppo presto.
Il segreto per rimanere giovani, per Noschese, non è una mera questione di longevità fisica, ma uno stato d’animo, una forza interiore che alimenta la volontà, accende la mente e vitalizza il corpo.
È un allenamento costante, una preparazione continua che richiede impegno e determinazione, perché la vita non concede sconti, ma ci sottopone a prove inaspettate, a sfide che mettono alla prova la nostra resistenza.
La vita è una corsa ad ostacoli, una maratona infinita, una competizione quotidiana.
Combattere, in questo contesto, non significa cedere alla rabbia o all’odio, ma opporsi con coraggio e lucidità alle avversità, non solo per se stessi, ma per coloro che non hanno voce, per chi soffre in silenzio, per chi è stato strappato alla vita ingiustamente.
È un atto di giustizia compiuto in nome della memoria, un impegno a non lasciare che l’ingiustizia prevalga.
L’immagine del “vecchio” che si insedia dentro di noi, il portatore di paure, di limiti, di rassegnazione, rappresenta la personificazione delle nostre debolezze.
Noschese lo respinge con forza, rifiutando di cedere alla sua influenza.
È un rifiuto della passività, un’affermazione della propria forza d’animo.
L’abbandono definitivo di questa figura simboleggia la liberazione, la capacità di affrontare il futuro con rinnovato vigore.
La chiamata alle armi, l’invito a scatenare l’inferno, non è un appello alla violenza, ma un’esortazione all’azione, alla determinazione nel perseguire la verità e la giustizia.
La conclusione ribadisce la fiducia nella vittoria della giustizia, contrapposta alla vendetta, che invece è figlia del passato, dei ricordi sbiaditi di un tempo che non può essere recuperato.
Combattere, dunque, non è solo un dovere, ma una necessità vitale, un atto di amore per chi è andato via, per chi soffre, per chi ha bisogno di speranza.
Combattiamo tutti, perché solo così possiamo onorare la memoria di chi non c’è più e costruire un futuro più giusto e più umano.
Il grido di Pino Noschese è un monito, un invito a non arrendersi mai, a lottare sempre per la verità, per la giustizia, per la vita.