giovedì, 17 Luglio 2025
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Sentenza Spartacus: la mafia silenta, Saviano Mi hanno rubato la vita

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La sentenza della Corte d’Appello di Roma, emessa oggi, riaccende un faro sulla persistente ombra della criminalità organizzata e sulla sua capacità di infiltrarsi nei meccanismi giudiziari, limitando, in modo inequivocabile, la libertà e la sicurezza di chi si fa portavoce della verità.
Il commento di Roberto Saviano, tagliente e desolante – “Mi hanno rubato la vita” – non è una semplice reazione emotiva, ma una lucida constatazione delle conseguenze concrete che derivano dall’esposizione a un potere radicato e spietato.

La Corte ha confermato le condanne inflitte in precedenza per le minacce ricevute durante il processo ‘Spartacus’ nel 2008, un episodio che, a distanza di anni, continua a rappresentare una ferita aperta nel tessuto della giustizia italiana.
Le condanne per Francesco Bidognetti, boss del clan dei Casalesi, a un anno e sei mesi, e per l’avvocato Michele Santonastaso, a un anno e due mesi, sottolineano la gravità delle intimidazioni, aggravate dall’esplicito riferimento al metodo mafioso.
Questo elemento, cruciale, evidenzia come la minaccia non fosse un atto isolato, ma un messaggio chiaro e calcolato per dissuadere Saviano dal proseguire la sua attività di denuncia.

Il processo ‘Spartacus’ è stato un momento cruciale nella storia della lotta alla criminalità organizzata, perché ha portato alla luce la capacità delle mafie di esercitare pressioni sull’amministrazione della giustizia.

L’impatto di tali minacce non si limita al singolo individuo, ma si estende all’intera collettività, generando un clima di paura e di autocensura.
La paura, infatti, è uno strumento potente nelle mani della criminalità, capace di silenziare voci critiche e di compromettere il corretto svolgimento dei processi.
L’abbraccio commosso di Saviano al suo legale, Antonio Nobile, e l’applauso che ha seguito la lettura della sentenza, rappresentano un segnale di speranza e di resilienza.
Un gesto che simboleggia la determinazione di chi, nonostante le minacce e le intimidazioni, non intende rinunciare alla propria missione: quella di portare alla luce le verità scomode e di contribuire alla costruzione di una società più giusta e libera.

Tuttavia, la sentenza, pur essendo un passo nella giusta direzione, non può essere considerata una soluzione definitiva.

La lotta alla criminalità organizzata richiede un impegno costante e su più fronti: dalla repressione alla prevenzione, dall’educazione alla promozione della legalità.
È necessario rafforzare gli strumenti di protezione per chi si espone denunciando le attività mafiose, garantendo al contempo la libertà di stampa e di espressione.
Solo così sarà possibile restituire a Saviano, e a tutti coloro che si battono per la verità, quella vita che gli è stata sottratta.

La sentenza non è una conclusione, ma un nuovo inizio, un monito e un rinnovato invito all’azione.

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