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Svolta nel caso Di Caprio: revoca domiciliari e accuse ridimensionate

La vicenda giudiziaria che coinvolge Massimiliano Di Caprio, imprenditore 49enne, subisce una svolta significativa con la revoca dei domiciliari disposta dal tribunale competente.

L’uomo, inizialmente inserito in un’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) incentrata su presunti schemi di riciclaggio di capitali riconducibili al clan Contini, attraverso la celebre pizzeria “Dal Presidente” a Napoli, vede ora la sua posizione drasticamente ridimensionata.
La decisione del tribunale si fonda su un precedente cruciale emesso dalla Corte di Cassazione, che ha escluso la sussistenza di elementi che potessero configurare l’aggravante mafiosa in relazione ai reati inizialmente contestati a Di Caprio.
Parallelamente, la Suprema Corte ha depurato l’accusa di riciclaggio e auto-riciclaggio, riducendo la sua posizione a quella di intestatario fittizio di beni.

Questo cambio di scenario ha reso possibile il rilascio dell’imprenditore, dopo circa sei mesi trascorsi tra arresto in carcere e regime di domiciliari.
L’avvocato Fabio Visco, difensore di Di Caprio insieme a Vittorio Giaquinto, sottolinea come la Cassazione abbia sostanzialmente escluso qualsiasi collegamento tra il suo assistito e l’organizzazione criminale Contini, confutando le iniziali accuse.

La vicenda, tuttavia, non si limita a Di Caprio.

La DDA aveva coinvolto anche la moglie, Deborah Capasso, 47 anni (assistita dagli avvocati Visco e Leopoldo Perone), e il sostituto commissario della Polizia di Stato Guido Albano (anch’egli difeso da Visco e Vanni Cerino), entrambi già in libertà su disposizione dell’autorità giudiziaria.
Anche per Capasso e Albano, sono stati ritenuti infondati i gravi indizi di colpevolezza che avevano motivato le misure cautelari.
L’inchiesta, avviata nel maggio 2024, aveva portato alla notifica di una misura cautelare a Di Caprio, Capasso, Albano e altri due indagati, unitamente ad un pesante sequestro di beni, tra cui la pizzeria “Dal Presidente” e altri immobili mobili e immobiliari, per un valore complessivo di 3,5 milioni di euro.

Il sequestro rimane in vigore, in attesa di ulteriori sviluppi processuali e di una possibile rivalutazione alla luce delle recenti decisioni della Corte di Cassazione.

La vicenda solleva interrogativi sulle modalità di gestione delle indagini complesse e sulla necessità di un equilibrio tra l’azione preventiva della magistratura e la tutela dei diritti degli imputati, soprattutto quando si tratta di presunti collegamenti con organizzazioni criminali.

L’esito della vicenda sottolinea l’importanza del controllo giurisdizionale e del ruolo della Cassazione nel garantire la correttezza del processo penale e la proporzionalità delle misure cautelari.

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