La tragedia di Napoli, che il 25 luglio scorso ha strappato alla vita a Vincenzo Del Grosso, Ciro Pierro e Luigi Romano, continua a generare interrogativi e indagini complesse.
La rimozione dell’impianto di sollevamento, sotto lo sguardo attento di magistrati e consulenti tecnici, ha rappresentato un’operazione delicata, resa possibile dall’impiego di una gru di notevoli dimensioni, volta a recuperare l’apparato funivo dal punto in cui si è verificato il crollo.
L’attenzione si è concentrata in particolare su un punto critico: la rottura di un tubo, evidente nella presenza di una saldatura, e sull’integrità degli ancoraggi, serrati in maniera apparentemente lassista, tanto da poter essere allentati a mano, circostanza che solleva seri dubbi sulle procedure di controllo e manutenzione.
I funerali, celebrati tra il lutto e la rabbia, hanno visto la partecipazione del Cardinale Mimmo Battaglia, che ha denunciato con forza la corsa al profitto che spesso sacrifica la sicurezza e favorisce il lavoro sommerso.
L’accertamento tecnico irripetibile, coordinato dalla Procura di Napoli (pm Stella Castaldo e procuratore aggiunto Antonio Ricci), è stato condotto in presenza delle parti civili, dei familiari delle vittime e dei legali degli indagati – due imprenditori, l’amministratore del condominio e il responsabile della sicurezza – al fine di ricostruire la dinamica del disastro e individuare le responsabilità.
Il consulente tecnico nominato dalla Procura dovrà presentare un rapporto dettagliato entro novanta giorni, che potrà gettare luce sulle cause del crollo.
Le indagini hanno immediatamente evidenziato una serie di criticità legate alla sicurezza.
Nessuno dei tre operai indossava dispositivi di protezione individuale, in particolare imbracature di sicurezza, e due erano impiegati in nero, in una condizione di precarietà che li esponeva a rischi maggiori.
Si pone ora la questione fondamentale se l’impianto fosse omologato per il trasporto di persone, oltre che di materiali, un dettaglio cruciale per determinare la responsabilità del committente e dell’installatore.
L’analisi dei periti si concentrerà ora sulla verifica dell’ancoraggio del traliccio metallico all’edificio, sulla qualità dei materiali utilizzati e sulla corretta esecuzione delle saldature.
La rottura del tubo saldato, l’allentamento dei bulloni e perni e l’apparente fragilità dell’ancoraggio rappresentano elementi chiave per ricostruire la sequenza degli eventi.
Un aspetto particolarmente allarmante è emerso dall’ispezione preliminare: l’ancoraggio del traliccio, seppur apparentemente adeguato fino alla sommità dell’edificio, potrebbe essere risultato insufficiente o addirittura assente nella sezione superiore, quella che superava l’altezza del fabbricato.
Questa circostanza, qualora confermata, potrebbe aver provocato un cedimento strutturale sotto il peso combinato del cestello, degli operai e del carico, portando alla rottura del traliccio nel punto di giunzione.
Un’altra ipotesi, allo studio dei periti, è che la cabina possa essere stata portata in una posizione troppo elevata, forse per errore, superando i limiti di sicurezza dell’ancoraggio.
L’acquisizione della documentazione tecnica da parte della Polizia Scientifica e dell’Ispettorato del Lavoro è cruciale per ricostruire la storia dell’impianto e identificare tutti i soggetti coinvolti nella sua installazione, inclusi, potenzialmente, gli stessi operai deceduti.