Un grido di dolore, un appello alla giustizia.
Non un lutto passivo, ma una mobilitazione civile.
Sono le parole che emergono dalle celebrazioni funebri di Vincenzo Del Grosso, Ciro Pierro e Luigi Romano, tre lavoratori napoletani strappati alla vita in un tragico crollo di un montacarichi.
Il cardinale Domenico Battaglia, con la voce intrisa di commozione e indignazione, solleva un velo sulla profonda frattura che lacera la nostra società, una frattura che si nutre di sfruttamento, superficialità e collusione.
Non si tratta di un destino ineluttabile, di una sventura casuale.
È il risultato di un sistema che antepone il profitto alla vita umana, un sistema dove la sicurezza è un optional, un costo da tagliare, un vincolo da aggirare.
Un sistema dove la dignità del lavoro è compromessa, svilita, offesa.
La morte di questi tre uomini non è un evento isolato, ma un sintomo di una malattia cronica che affligge il nostro Paese, una malattia che si manifesta con numeri inaccettabili di morti sul lavoro, con condizioni di lavoro precarie e pericolose, con una diffusa cultura dell’illegalità.
Il dolore che attanaglia la comunità napoletana, la Chiesa, le famiglie delle vittime, deve trasformarsi in un catalizzatore di cambiamento.
Non è sufficiente la preghiera, la compassione, la vicinanza ai familiari.
È necessario un impegno concreto, una presa di posizione netta contro le responsabilità che hanno portato a questa tragedia.
È necessario un cambio di mentalità, un ripensamento dei valori che guidano il nostro agire economico e sociale.
Il diritto al lavoro non può essere equiparato al rischio di morte.
Ogni lavoratore ha diritto a un ambiente sicuro, a una formazione adeguata, a un salario giusto, a un orario di lavoro sostenibile.
Ha diritto a tornare a casa alla fine della giornata, a riabbracciare i propri cari, a condividere un pasto, a coltivare i propri sogni.
Il patto sacro tra lavoro e sicurezza è stato violato, e la Chiesa di Napoli, con la sua voce, si fa interprete di questa ferita profonda.
La lotta per la giustizia sociale non può rimanere una formula retorica, un generico auspicio.
Richiede un’azione mirata, un controllo rigoroso, una tutela efficace dei diritti dei lavoratori.
Significa denunciare apertamente le illegalità, contrastare le pratiche di sfruttamento, promuovere una cultura della legalità e della responsabilità.
Significa, soprattutto, dare voce a chi non ne ha, difendere i più deboli, proteggere i più vulnerabili.
La memoria di Vincenzo, Ciro e Luigi non possa svanire nel silenzio, ma diventi un monito costante, un faro che illumina il cammino verso un futuro più giusto, più sicuro, più umano.
Un futuro dove il lavoro sia sinonimo di vita, non di morte.