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giovedì 23 Ottobre 2025

Tragedia in carcere: un detenuto psichiatrico si toglie la vita

La tragica scomparsa di un giovane detenuto nordafricano di 29 anni, avvenuta nella casa circondariale di Ariano Irpino, solleva con urgenza una riflessione profonda sullo stato del sistema penitenziario italiano e le sue implicazioni etiche e sociali.
L’evento, comunicato dal segretario generale della Uilpa Penitenziaia, Gennarino De Fazio, non è un mero episodio isolato, bensì il tragico epilogo di una spirale di disagio, marginalizzazione e vulnerabilità, esacerbata da condizioni strutturali critiche.

Il giovane, gravato da preesistenti problematiche psichiatriche, ha scelto la via estrema, un gesto che testimonia l’insufficienza delle misure di supporto e assistenza psicologica garantite all’interno del sistema.
La rapidità dei soccorsi si è rivelata inutile, evidenziando l’impotenza di fronte a una sofferenza profonda e apparentemente insormontabile.
La denuncia del sovraffollamento, pari al 32%, che vede 286 detenuti ospitati in una struttura progettata per soli 216, non è una novità.
Si tratta di una condizione endemica che affligge molte strutture penitenziarie in Italia, con conseguenze devastanti per la dignità umana e la sicurezza dei detenuti e del personale.

Il sovraffollamento acuisce le tensioni, favorisce la diffusione di patologie, rende più difficoltosa l’attuazione di programmi di riabilitazione e crea un ambiente claustrofobico e demoralizzante.

A questa problematica si aggiunge la carenza di personale, con un organico della Polizia Penitenziaria al di sotto del 40%.

La mancanza di agenti non solo compromette la sicurezza, ma riduce anche la possibilità di instaurare relazioni umane significative con i detenuti, relazioni che potrebbero fare la differenza nella loro percorso di reinserimento sociale.

La vicenda di Ariano Irpino richiede un cambio di paradigma.
Non è sufficiente limitarsi a misure palliative o a interventi emergenziali.

È necessario un investimento strutturale e sistemico nel sistema penitenziario italiano, che tenga conto non solo dell’aspetto repressivo, ma anche di quello riabilitativo e di reinserimento sociale.
Questo implica:* Un’urgente revisione della politica penale: Individuare i reati che possono essere gestiti al di fuori del circuito carcerario, privilegiando alternative come la detenzione domiciliare, i lavori di pubblica utilità e i programmi di giustizia riparativa.

* Potenziamento dell’assistenza sanitaria mentale: Garantire l’accesso a servizi di psichiatria forense adeguati, con personale specializzato e risorse sufficienti per la diagnosi, il trattamento e il monitoraggio delle patologie mentali.
* Formazione del personale penitenziario: Fornire agli agenti di polizia penitenziaria competenze specifiche in materia di gestione dei detenuti con problemi di salute mentale e tecniche di de-escalation.* Promozione di attività formative e lavorative: Offrire ai detenuti opportunità di istruzione, formazione professionale e lavoro, per favorire l’acquisizione di competenze utili per il futuro e il recupero di una dimensione di autonomia e responsabilità.
* Coinvolgimento della società civile: Creare ponti tra il carcere e il territorio, attraverso il coinvolgimento di associazioni di volontariato, cooperative sociali e aziende che possano offrire opportunità di lavoro e sostegno ai detenuti.
La morte del giovane detenuto non può rimanere impunita.
Deve scuotere le coscienze e spingere le istituzioni, la politica e la società civile a intraprendere un percorso di cambiamento profondo e duraturo, affinché il sistema penitenziario italiano possa finalmente adempiere alla sua funzione di tutela della dignità umana e di promozione della giustizia.

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