La recente sentenza del Tar della Campania, che ha sospeso la vigenza delle cosiddette “zone rosse” nell’area napoletana, pone l’attenzione su un modello di sicurezza urbana sperimentato in diversi comuni della provincia, un dispositivo volto a rispondere a problematiche complesse di degrado e criminalità diffusa.
Lungi dall’essere una misura limitata a specifici quartieri di Napoli, l’applicazione di queste aree a elevata sorveglianza ha coinvolto comuni di dimensioni considerevoli come Giugliano, estendendosi all’area stabiese e alla cintura nord della città.
L’attività di controllo, che ad oggi ha generato circa 240.000 verifiche da parte delle forze dell’ordine e più di 220 ordini di allontanamento, si concentra su individui già noti alle autorità per pregresse vicende penalmente rilevanti o che manifestano comportamenti aggressivi, minacciosi o molesti.
Questo approccio, teoricamente orientato alla prevenzione, si propone di contrastare un ventaglio di fenomeni che minano la qualità della vita e la sicurezza percepita dai cittadini.
Si tratta di un mix preoccupante che include episodi di “movida” violenta, risse, atti di vandalismo, consumo esasperato di alcol, inquinamento acustico e, più in generale, una sensazione di insicurezza derivante dalla presenza di microcriminalità e comportamenti antisociali.
La definizione geografica delle “zone rosse”, lungi dall’essere una decisione unilaterale, è stata il risultato di un processo partecipativo che ha coinvolto sindaci dei comuni interessati, nel tentativo di ancorare l’intervento a una reale necessità locale, espressa dalla popolazione stessa.
Questo aspetto sottolinea l’intento di rispondere a una domanda di sicurezza dal basso, riconoscendo la centralità dell’esperienza vissuta dai residenti nel definire le priorità di intervento.
Al di là della quantità di controlli effettuati e degli ordini di allontanamento emessi, il prefetto Michele di Bari evidenzia un elemento cruciale: l’effetto deterrente rappresentato dalla mera presenza delle forze dell’ordine.
Questa deterrenza, secondo quanto riferito, avrebbe contribuito a disinnescare potenziali azioni criminali e a promuovere un clima di maggiore tranquillità.
La logica sottostante è chiara: un intervento visibile e costante, anche se non sempre risolutivo, può contribuire a modificare il comportamento di alcuni individui e a rafforzare il senso di sicurezza nella collettività.
Tuttavia, l’efficacia e la legittimità di tali misure, come dimostra la recente pronuncia del Tar, richiedono un’attenta valutazione che tenga conto dei principi fondamentali del diritto amministrativo, quali la proporzionalità e la ragionevolezza.
La definizione precisa dei confini, i criteri di selezione degli individui soggetti a controllo e le modalità di esecuzione delle misure devono essere rigorosamente definite per evitare abusi e discriminazioni.
La sfida futura, quindi, consiste nel trovare un equilibrio tra l’esigenza di garantire la sicurezza pubblica e la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini, promuovendo una cultura della convivenza pacifica e del rispetto delle regole.
Il dibattito sulla vigenza delle “zone rosse” rappresenta un’occasione per riflettere su modelli di sicurezza urbana più efficaci, trasparenti e rispettosi dei diritti di tutti.