Le Quattro Giornate di Eboli: Un’Onda di Sdegno e la Fragilità di un Sogno IndustrialeIl maggio 1974. L’Italia, lacerata da un’intensa dialettica politica e alle prese con la delicata transizione istituzionale legata al referendum sul divorzio, si trova ad affrontare una crisi che esce dai confini delle aule parlamentari e si materializza nelle strade del Mezzogiorno. Giovanni Tarantino, in *Le Quattro Giornate di Eboli*, offre un’analisi penetrante di questo momento storico, un evento spesso marginalizzato ma cruciale per comprendere le dinamiche socio-politiche che hanno plasmato il Sud Italia. Lungi dall’essere una semplice cronaca, il saggio si configura come un’indagine antropologica di un’ondata di sdegno collettivo, un grido disperato che risuona ancora oggi.L’episodio scaturisce da una decisione arbitraria, un atto di gestione centralizzata che tradisce le speranze di una popolazione già provata da decenni di promesse non mantenute. La decisione del Cipe, guidato dall’influenza del ministro Ciriaco De Mita, di trasferire l’insediamento industriale Fiat dalla Piana del Sele a Grottaminarda, rappresenta la goccia che fa traboccare il vaso. Questa decisione, non una eccezione ma una continuazione di precedenti “favori” industriali (come il caso di Aeritalia), incarna la persistente sensazione di essere vittima di un sistema che concentra le risorse al Nord, lasciando il Sud nell’orbita di un’economia di sussistenza e di opportunità sprecate.Le Quattro Giornate non furono un’eruzione di violenza, come il precedente evento di Battipaglia, ma una manifestazione potente e pacifica, animata da un profondo senso di ingiustizia. Le barricate, l’occupazione della strada statale, il blocco dei treni – non sono atti di ribellione fine a sé stesso, ma espressioni di una rabbia contenuta, di una frustrazione accumulata che si sprigiona con la forza di un fiume in piena. Il blocco delle comunicazioni, l’attenzione mediatica nazionale, amplificano il messaggio di un popolo che si sente abbandonato e invisibile.Tarantino, con la voce del cronista e dell’impegnato, sottolinea l’importanza del ruolo svolto dalle organizzazioni sindacali, Cgil, Cisl e Uil, che, in linea con le teorie gramsciane di unione tra operai e contadini, catalizzano l’energia collettiva e trasformano la protesta in un movimento di ampia portata. L’unità sindacale, a differenza delle divisioni politiche che affliggono il paese, si pone come un baluardo contro l’isolamento e un elemento di forza per la rivendicazione dei diritti.Tuttavia, l’autore non si illude. Il governo risponde con promesse – la sostituzione della Fiat con un insediamento Sir – che si rivelano vane. L’insediamento Sir, a sua volta, si prefiggeva un impatto ambientale devastante per la Piana del Sele, un ecosistema prezioso e fertile. La speranza industriale si dissolve, lasciando dietro di sé un senso di amarezza e di sconfitta.Gerardo Rosania, ex sindaco di Eboli, con lucidità, traccia un parallelo inquietante con l’attuale dibattito sull’autonomia regionale differenziata, auspicando che non si configuri come il “seppellimento definitivo” della questione meridionale. Le Quattro Giornate di Eboli non sono solo un evento storico da ricordare, ma un monito, un invito a non dimenticare le ferite del passato e a riflettere sulle responsabilità che gravano sulle istituzioni e sulla società nel loro complesso. Rappresentano un’ultima, disperata vigenza di un sogno industriale, soffocato dalle logiche del potere e dall’indifferenza del sistema, lasciando il Sud in una perpetua attesa di un futuro che sembra sempre sfuggire.
Le Quattro Giornate di Eboli: Rabbia, Speranze e un Sogno Interrotto
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