La terza stagione di “Il Commissario Ricciardi”, interpretato magistralmente da Lino Guanciale, si preannuncia un’immersione ancora più profonda nell’animo tormentato del personaggio e nel contesto storico-sociale che lo avvolge.
L’anteprima al Teatro San Carlo di Napoli, in occasione del Prix Italia, ha rivelato un Ricciardi in evoluzione, un uomo al confine tra la rigidità del dovere e la ricerca di una dimensione emotiva e relazionale più completa.
Maurizio de Giovanni, autore dei romanzi che ispirano la serie, sottolinea come questa stagione attinga a opere più complesse e significative, capaci di svelare una trasformazione interiore cruciale per il commissario.
 Non si tratta di una semplice evoluzione narrativa, ma di un percorso di maturazione che coinvolge l’intera comunità napoletana, riflettendo le contraddizioni e le ombre di un’epoca segnata dal fascismo.
 La “storia” con la S maiuscola, come la definisce de Giovanni, si disgrega in miriadi di storie individuali, ognuna specchio delle angosce e delle speranze di un popolo.
La narrazione si fa più intima, più corale, abbandonando le semplificazioni per abbracciare le ambiguità e le sfumature che caratterizzano l’esperienza umana.
 Ricciardi, oltre a confrontarsi con i casi di cronaca che lo vedono protagonista, si trova a navigare le acque agitate del corteggiamento nei confronti di Enrica, una donna che ignora la sua “maledizione”, quel dono-fardello che lo costringe a condividere l’ultimo pensiero delle vittime, a percepire il dolore e la paura che le accompagna.
 Il commissario deve, inoltre, fare i conti con la sua stessa paternità, un legame profondo che lo radica alla vita e lo rende ancora più consapevole della fragilità dell’esistenza.
Lino Guanciale, condividendo l’entusiasmo dell’autore, esprime il desiderio di aver preservato l’integrità del personaggio, di non averne “sciupato” la complessità.
 Il suo intento è stato quello di restituire un Ricciardi fedele alle intenzioni dell’autore, un uomo avvolto da una corazza di formalità per poi concedersi momenti di vulnerabilità, di apertura all’amore e alla gioia.
 Liberarlo, non dalla maledizione che lo accompagna, ma dalle paure e dalle incertezze che lo affliggono, permettendogli di abbracciare la pienezza dell’esperienza umana.
Maurizio de Giovanni, orgoglioso di vedere le sue storie adattate per la televisione, sottolinea il valore della condivisione culturale e la centralità di Napoli come scenario indissolubile dalla narrazione.
 Le sue storie, che spaziano dai “Bastardi de Napule” a “Mina”, rappresentano una sorta di cartolina inviata dalla sua città, un omaggio alle sue luci e alle sue ombre, un invito alla consapevolezza.
 Napoli, una città che troppo spesso vive nel presente, dimentica di guardarsi e di riconoscere le proprie potenzialità, merita di scoprire e valorizzare le sue caratteristiche distintive, di aspirare a un futuro di straordinaria bellezza e prosperità.
La serie, dunque, non è solo un prodotto televisivo, ma un atto d’amore verso la città e un invito alla riflessione sul suo passato e sul suo futuro.



 
                                    


