44 anni dopo: il terremoto del 1980, una ferita che insegna.

Il 23 novembre 1980 non è semplicemente una data segnata nel calendario.
È un confine, una linea di frattura nel tessuto della memoria collettiva lucana e campana, un momento che riverbera ancora oggi, a distanza di quarantacinque anni, con una potenza inaspettata.

Commemorare questo anniversario significa onorare le vittime, certamente, ma soprattutto significa abbracciare la resilienza, attingere a quella forza ancestrale che ha permesso a un intero popolo di rialzarsi dalle macerie, di ricostruire non solo case, ma anche una speranza.
Come un’eco lontana, le 19:34 del 23 novembre 1980 si insinuano nel presente, quasi tangibili.

Non sono solo numeri, ma un sapore di polvere, un freddo penetrante che ancora si fa sentire, anche per chi non ha vissuto direttamente quella notte di terrore, ma ne ha ereditato i racconti, le cicatrici, l’ombra lunga proiettata sul futuro.
Il terremoto ci ha esposti brutalmente alla nostra vulnerabilità, rivelando la precarietà dell’esistenza.
Le nostre case, simboli di sicurezza e stabilità, si sono trasformate in trappole mortali.

I legami familiari e sociali, intrecciati nel corso di generazioni, sono stati messi a dura prova, spezzati in un istante.
Quel silenzio assordante, successivo al boato devastante, ha lasciato un vuoto incolmabile, un peso che nessuna ricostruzione, per quanto necessaria, potrà mai davvero lenire.
Ma, nel cuore di quell’abisso di dolore, si è manifestato un fenomeno straordinario, un atto di solidarietà che definisce l’identità italiana.
L’urlo disperato, il “Fate Presto!” che si levava dalle macerie, ha trovato risposta in un’onda di aiuto silenziosa ma massiccia.

Migliaia di persone, militari, volontari, cittadini comuni, provenienti da ogni angolo del Paese, hanno risposto alla chiamata, offrendo il loro contributo.
Sono stati loro, con il loro impegno e la loro umanità, a costituire un argine contro la disperazione, a offrire una speranza concreta.
Forse, questa è la lezione più profonda del 1980: la capacità di un popolo di mettere da parte le divisioni, di trascendere le differenze, di diventare un’unica entità di fronte all’avversità.

L’anniversario non è solo un momento di riflessione e ricordo, ma anche un imperativo morale: non ripetere gli errori del passato.
Abbiamo imparato a caro prezzo che la prevenzione non è un costo superfluo, ma un investimento essenziale per la sicurezza e il futuro.
L’Università della Basilicata, nata proprio come risposta a quella tragedia, rappresenta un faro di progresso, un motore di innovazione, che forma nuove generazioni di ingegneri sismici, capaci di applicare le più avanzate tecnologie per la mitigazione del rischio.
Siamo impegnati, a livello regionale, a colmare le lacune esistenti in termini di sicurezza, a tradurre le lezioni del passato in azioni concrete e durature, mirando a creare un ambiente in cui la sicurezza dei cittadini sia la priorità assoluta.

Il progresso tecnico deve essere affiancato da una coscienza civile, da una cultura della resilienza, che ci permetta di affrontare le sfide future con coraggio e determinazione, consapevoli che la vera forza di un popolo risiede nella sua capacità di ricostruire non solo edifici, ma anche la fiducia nel futuro.

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