La recente polemica sulla candidatura alla presidenza della Regione Campania, e in particolare la figura di Roberto Fico, ha riacceso il dibattito sul ruolo del programma rispetto alla persona nella politica contemporanea.
Vincenzo De Luca, presidente uscente, ha espresso con chiarezza la sua posizione, una linea di pensiero che trascende la mera ostilità personale, configurandosi come un principio fondativo per una governance responsabile e orientata al bene comune.
L’affermazione, apparentemente brusca, “altrimenti manderò tutti al diavolo”, rivela una frustrazione profonda nei confronti di dinamiche politiche spesso dominate da logiche di convenienza, clientelismo e personalismi.
Non si tratta di un veto ideologico indiscriminato, bensì di un richiamo all’imperativo della sostanza, alla centralità di un progetto politico solido e credibile.
L’accento è posto inequivocabilmente sul “programma”, inteso come la piattaforma di azioni concrete, le proposte di sviluppo e le soluzioni ai problemi reali che affliggono la comunità.
Un programma che deve precedere, e dunque condizionare, la scelta del leader, non viceversa.
Questa visione si distanzia nettamente da un approccio che privilegia la ricerca di compromessi superficiali o la nomina di figure di comodo, mosse più da considerazioni di facciata che da una genuina volontà di servire l’interesse collettivo.
De Luca sembra voler sradicare un sistema in cui il carisma individuale e la capacità di creare consenso prevalgono sulla competenza, l’esperienza e la capacità di tradurre le aspirazioni popolari in politiche efficaci.
La questione della candidatura del figlio Piero De Luca alla segreteria del PD campano rafforza ulteriormente questo quadro.
La sua affermazione, che definisce la candidatura stessa come un “piacere” per il partito, sottolinea un’inversione di prospettiva che dovrebbe far riflettere l’intera classe politica.
Invece di presentare la candidatura come un atto di servizio verso il partito, viene percepita come un’opportunità per il figlio, un gesto che, seppur inapparente, suggerisce una dinamica di potere interna e una gestione delle risorse del partito che potrebbero essere più orientate verso il merito e la partecipazione democratica.
Il nodo centrale è dunque la necessità di un profondo rinnovamento del metodo politico, un ritorno ai valori fondanti della democrazia, in cui la competenza, la trasparenza e l’impegno civile devono guidare le scelte e le azioni dei rappresentanti eletti.
La candidatura di Roberto Fico, o quella di qualsiasi altro esponente politico, non può essere valutata in termini di gradimento personale o di logiche di appartenenza, ma esclusivamente sulla base della sua capacità di contribuire alla realizzazione di un programma che risponda alle reali esigenze della comunità campana.
La politica, in ultima analisi, deve essere al servizio del bene comune, e non viceversa.