Il silenzio, quella paralisi emotiva che avvolge troppe coscienze, è stato assordante. Per un intero anno, l’indifferenza ha regnato sovrana mentre un grido di speranza risuonava in Piazza Plebiscito, un’eco di cinquantamila voci giovanili invocanti un immediato cessate il fuoco. Ora, un coro di voci si alza, un’eco tardiva che contrasta con il sangue versato. La storia, purtroppo, ci ricorda che la consapevolezza collettiva si risveglia spesso al prezzo di sofferenze incommensurabili: sessantamila vite spezzate, trentamila bambini strappati alla vita, una generazione intera segnata da un dolore indicibile.È un risveglio doloroso, che interroga profondamente la nostra umanità. Il governatore De Luca, durante la manifestazione a Piazza San Giovanni, non si è lasciato sfuggire la gravità del momento, denunciando una realtà che trascende la definizione di conflitto armato. Non si tratta di una guerra, ma di qualcosa di più profondo, di più radicato: un genocidio.L’Italia, con la sua consueta abitudine a edulcorare, a trovare scuse, a diluire la verità, rischia di rimanere intrappolata in un labirinto di interpretazioni evasive. Solo coloro che si rifiutano di accettare facili spiegazioni, che non si lasciano ingannare dalle narrazioni alibi, possono comprendere la portata tragica di quanto sta accadendo. Tagliare il pelo in quattro, come si dice, significa smascherare le dinamiche di potere, le responsabilità, le complicità che alimentano questa spirale di violenza.La domanda che emerge con prepotenza è questa: cosa significa, concretamente, spazzare via un popolo? Non si tratta solo di distruzione fisica, di bombardamenti e incursioni. Significa cancellare la sua identità, la sua cultura, la sua storia, le sue speranze. Significa negargli il diritto di esistere, di vivere, di sognare un futuro.La manifestazione, il grido di dolore e di rabbia che si leva da Piazza San Giovanni, è un atto di resistenza, un rifiuto di accettare l’inaccettabile. È un invito a non rimanere in silenzio, a non voltare la testa di fronte all’orrore. È un appello a una coscienza umana più matura, più consapevole, più compassionevole. Un’umanità che sappia riconoscere il male, combatterlo e costruire un mondo più giusto, più equo, più pacifico. Un mondo dove i bambini possano tornare a giocare, senza la paura di un bombardamento, dove i popoli possano convivere in armonia, nel rispetto reciproco.
Un Grido Tardivo: Risveglio Coscienziale e Genocidio.
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