sabato, 7 Giugno 2025
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Cannabis Light, la sentenza del TAR apre un nuovo contenzioso legale.

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La recente sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) di Bologna, emessa in relazione al caso di un rivenditore di prodotti derivati dalla cannabis sativa L. con sede a Granarolo dell’Emilia, riapre un acceso dibattito sulla legittimità della commercializzazione della cosiddetta “cannabis light” in Italia. La decisione, che respinge il ricorso presentato dal commerciante e accoglie le ragioni dell’ente locale, sottolinea le complesse intersezioni tra diritto amministrativo, legislazione antidroga e interpretazione delle normative che promuovono lo sviluppo industriale della canapa.Il provvedimento, inizialmente emesso a gennaio 2022 e riguardante l’ordinanza di cessazione dell’attività di vendita tramite distributori automatici, si colloca in un contesto giuridico intricato. La questione centrale risiede nell’interpretazione contrastante tra, da un lato, la normativa antidroga vigente, che disciplina severamente la detenzione e la commercializzazione di sostanze stupefacenti, e, dall’altro, la legislazione a sostegno della filiera industriale della canapa, volta a incentivare la coltivazione e la trasformazione di questa pianta per scopi industriali, cosmetici, alimentari e farmaceutici.Il TAR, nella sua decisione, si è fatto carico di un precedente fondamentale emesso dalla Corte di Cassazione nelle sezioni unite il 10 luglio 2019. Questo precedente aveva tentato di dirimere la dicotomia tra le due normative, analizzando come la legge sugli stupefacenti possa, in alcuni casi, entrare in conflitto con le disposizioni volte a sostenere la filiera della canapa. La Cassazione aveva aperto uno spiraglio, interpretando che alcuni derivati della cannabis sativa, pur ricavati dalla stessa pianta, potessero essere considerati esclusi dalla disciplina antidroga a seconda delle loro caratteristiche e della loro destinazione d’uso.Il TAR di Bologna, facendo proprie le argomentazioni della Cassazione, ritiene che la commercializzazione di foglie, infiorescenze, olio e resina derivanti dalla cannabis sativa non possa beneficiare dell’applicazione della legislazione a sostegno della filiera industriale, soprattutto quando il prodotto viene commercializzato in forma tale da poter essere percepito come una sostanza stupefacente. Questo significa che, indipendentemente dalla concentrazione di THC (tetraidrocannabinolo), principio psicoattivo contenuto nella cannabis, l’amministrazione pubblica non era tenuta a ulteriori approfondimenti prima di emettere il provvedimento di cessazione dell’attività.La sentenza pone un punto fermo che mina le basi commerciali di un settore nato nel vuoto legislativo e cresciuto attorno alla vendita di prodotti a basso contenuto di THC, spesso commercializzati con modalità simili a quelle delle sostanze stupefacenti. L’interpretazione del TAR rafforza il potere dell’amministrazione nell’applicazione della legge antidroga, suggerendo che l’appartenenza alla filiera industriale della canapa non garantisce automaticamente la legittimità della commercializzazione di tutti i suoi derivati. La decisione solleva interrogativi sulla necessità di una regolamentazione più precisa e puntuale in materia, al fine di chiarire i confini tra attività agricole, industriali e potenzialmente illegali, e di evitare contenziosi futuri. Il caso potrebbe presto approdare in appello, aprendo un nuovo capitolo in una battaglia legale che coinvolge diritto, economia e salute pubblica.

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