L’affermazione “Condivido” dell’avvocato Massimo Lovati, legale di Andrea Sempio, figura chiave nell’indagine in corso a Pavia riguardante la tragica scomparsa di Chiara Poggi, si configura come un punto di convergenza con le recenti dichiarazioni del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Quest’ultimo, prendendo come esempio la vicenda di Alberto Stasi, ha sollevato una questione cruciale: l’opportunità di reiterare un processo penale, anche dopo sentenze di assoluzione, qualora si presentino elementi che ne giustifichino una rivalutazione. La posizione del Ministro, seppur delicata, apre un dibattito fondamentale sull’equilibrio tra la presunzione di innocenza, il diritto alla difesa e la necessità di garantire una giustizia percepita come equa e completa.L’avvocato Lovati non si limita a condividere l’osservazione del Ministro, ma ne sottolinea la pertinenza con la sua profonda convinzione: l’innocenza di Alberto Stasi. Questa affermazione, lungi dall’essere una mera opinione, si radica in una ricostruzione alternativa degli eventi che hanno portato alla morte di Chiara Poggi. Lovati, in passato, ha ipotizzato l’esistenza di un’organizzazione criminale, operante nell’ombra, responsabile del delitto. Un’organizzazione non motivata da ragioni passionali o conflittuali, bensì da dinamiche ben più oscure e aberranti, quali reati sessuali e pedofilia.L’ipotesi di un’organizzazione criminale dietro il delitto Poggi introduce una complessità interpretativa che trascende il quadro di un singolo individuo responsabile. Implica una rete di connessioni, silenzi complici e, forse, un sistema di potere capace di manipolare le indagini e proteggere i veri colpevoli. Questa prospettiva, se confermata, non solo scagionerebbe Alberto Stasi, ma richiederebbe un’indagine radicalmente nuova, incentrata sull’identificazione e sulla ricostruzione delle attività di questa presunta rete criminale.La condivisione di Lovati non è solo un gesto di solidarietà verso il suo assistito, ma un appello alla ricerca della verità, un monito contro le conclusioni affrettate e un invito a non escludere, anche se scomode, le ipotesi più plausibili. Riaprire un processo, come suggerito dal Ministro Nordio, in un caso come questo, non sarebbe solo una questione di giustizia individuale, ma una necessità per tutelare l’interesse collettivo, per salvaguardare la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario e, soprattutto, per impedire che simili tragedie si ripetano. Il caso Poggi, pertanto, si erge a simbolo di una battaglia più ampia: quella per una giustizia più profonda, capace di scavare oltre le apparenze e di portare alla luce i veri responsabili di un dolore incommensurabile.
Caso Poggi: Lovati e Nordio, un appello a riaprire il processo.
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