Il clima, entità dinamica per antonomasia, ha sempre modulato la storia umana, plasmandone culture, migrazioni e persino architetture. L’episodio del 1709, con la laguna di Venezia imprigionata nel ghiaccio, ne è una testimonianza tangibile, un monito di un’era in cui la potenza atmosferica si manifestava con un’imponenza che oggi fatichiamo a concepire. Le carestie, un tempo flagelli devastanti, sono state in parte mitigate dall’ingegno e dalle tecnologie moderne, ma la loro persistente minaccia, come evidenziato dalla siccità del 2002, rivela la nostra vulnerabilità intrinseca. La questione cruciale, come lucidamente sollevato dal climatologo Luca Mercalli, non è tanto quanto il clima sia cambiato in passato, ma piuttosto quale sia il limite di resilienza umana di fronte alla sua crescente intensità e frequenza.L’analisi di Mercalli, presentata durante la Venice Climate Week, si concentra in particolare sulla drammatica sequenza di quattro alluvioni che hanno colpito l’Emilia-Romagna in un periodo di soli diciotto mesi. Un evento che, secondo le dinamiche climatiche preesistenti, si sarebbe manifestato solo in un intervallo di mezzo secolo. Nonostante l’efficacia dei soccorsi e la relativa limitatezza delle perdite umane, queste catastrofi rappresentano una sfida senza precedenti per una società che si considera avanzata, solidale e tecnologicamente efficiente. La risposta che emerge dalle comunità colpite è agghiacciante: il desiderio di abbandono, la fuga da luoghi un tempo sicuri, la rottura di un legame profondo con il territorio, aggravata dal peso di mutui per immobili che improvvisamente hanno perso il loro valore.L’accelerazione dei fenomeni estremi non si limita alle pianure italiane. L’evento di Blatten, in Svizzera, dove una frana causata dallo scioglimento del permafrost ha spazzato via un borgo secolare, è un esempio lampante di come il riscaldamento globale stia erodendo le fondamenta stesse del nostro ambiente. La prontezza dei sistemi di allerta, frutto di una scienza applicata con rigore, ha permesso di evacuare la popolazione e salvare vite umane. Tuttavia, la perdita è incommensurabile: un patrimonio storico e culturale di sei secoli, inghiottito da una massa di detriti, un futuro cancellato sotto cento metri di terra. Questa concatenazione di eventi – alluvioni in Italia, frane in Svizzera – non è casuale. È la diretta conseguenza di un sistema climatico in rapido cambiamento, un campanello d’allarme che ci interroga sulla nostra capacità di adattamento e sulla sostenibilità del nostro modello di sviluppo. Non si tratta più di proiettare scenari futuri, ma di affrontare una realtà che si manifesta con una violenza sempre maggiore, mettendo a dura prova la nostra resilienza e il nostro diritto a un futuro sicuro e dignitoso. La scienza ci offre gli strumenti per comprendere e prevedere questi fenomeni, ma la vera sfida risiede nella nostra volontà di agire, di cambiare rotta e di costruire un futuro in armonia con il pianeta.