La persistente e brutale realtà del femminicidio non è un evento isolato, ma il tragico esito di un sistema culturale profondamente radicato: il patriarcato. L’isteria collettiva che spesso accompagna questi omicidi, mascherata da stupore e indignazione, rivela una diffusa riluttanza a confrontarsi con le cause strutturali del problema, preferendo mantenere una narrazione che lo depistica come una serie di tragedie individuali, incomprensibili e imprevedibili. Questa reazione, tuttavia, è più che un semplice disorientamento; è una forma di resistenza, un modo per evitare di affrontare la scomoda verità che si cela dietro ogni atto di violenza estrema.La sindaca di Perugia, Vittoria Ferdinandi, con un linguaggio diretto e appassionato, denuncia questa tendenza, sottolineando che la paura del femminismo, alimentata da resistenze ideologiche e culturali, è inaccettabile di fronte alla brutalità del femminicidio. Non si tratta di resilienza, una capacità di adattamento passiva, ma di resistenza attiva, un movimento che rifiuta di tollerare l’ingiustizia e si oppone a ogni forma di sopraffazione e dominio maschile, riconoscendo che la violenza di genere affonda le sue radici in dinamiche di potere consolidate.L’analisi di Ferdinandi va oltre la semplice condanna degli atti violenti. Essa evidenzia come la società, attraverso frasi stereotipate e reazioni prevedibili (“era tanto bravo ragazzo”), cerchi di anestetizzare il dolore e di evitare una riflessione profonda sulle responsabilità collettive. Questo meccanismo di negazione, questa “scioccata” reiterata, non fa altro che perpetuare il ciclo della violenza.È imperativo, quindi, un cambio di paradigma. L’educazione, in particolare quella scolastica, assume un ruolo cruciale in questo processo di cambiamento culturale. La famiglia, pur rimanendo un’istituzione importante, non può essere l’unico soggetto responsabile della trasmissione di valori e dell’acquisizione di consapevolezza. Le scuole, e più in generale gli spazi di aggregazione giovanile, devono diventare luoghi di confronto, di apprendimento e di decostruzione degli stereotipi di genere, promuovendo relazioni paritarie e rispettose.La sindaca sottolinea con chiarezza: finché una donna sarà uccisa perché donna, finché la società continuerà a perpetuare una cultura che legittima la violenza, il silenzio e l’indifferenza non saranno un’opzione. Le istituzioni, e ogni individuo, hanno il dovere di agire, di denunciare, di contrastare ogni forma di discriminazione e di violenza. La battaglia contro il femminicidio non è una questione di genere, ma una questione di giustizia, di dignità umana e di costruzione di una società più equa e sicura per tutte e tutti. Il riconoscimento del problema non è sufficiente; è necessaria un’azione determinata e un impegno costante per smantellare le strutture di potere che lo alimentano e per garantire che ogni vita femminile sia valorizzata e protetta.