Il panorama economico globale, già segnato da un rallentamento delle esportazioni, da barriere doganali persistenti e dalle tensioni geopolitiche che alimentano conflitti, si presenta come un terreno impervio per il settore moda.
In questo scenario complesso, la filiera produttiva e il costo del lavoro emergono come nodi cruciali, come evidenziato da Valentino Fenni, figura di spicco nella sezione calzature di Confindustria Fermo e vicepresidente di Assocalzaturifici.
La questione etica e di responsabilità sociale, connessa al controllo della filiera, assume un’urgenza crescente.
Fenni sottolinea come l’onere di garantire condizioni di lavoro dignitose non possa essere eluso.
La scelta di delocalizzare la produzione in paesi esteri, con la consapevolezza di sfruttare manodopera sottopagata e priva di tutele essenziali, rappresenta una scelta moralmente discutibile e potenzialmente dannosa per l’immagine del “Made in Italy”.
L’azienda, in questa prospettiva, non può sottrarsi alla propria responsabilità, ma deve agire con trasparenza e consapevolezza.
Parallelamente, l’analisi dei margini di profitto rivela dinamiche distorte.
L’esempio concreto di un capo venduto a 3000 euro, a fronte di un costo di produzione di soli 150, solleva interrogativi sulla reale sostenibilità del modello economico attuale.
Il “Made in Italy” non deve essere ridotto a un mero artificio commerciale, un’etichetta da sfruttare per giustificare prezzi esorbitanti.
Deve incarnare un valore intrinseco, legato alla qualità dei materiali, alla cura artigianale e alla ricerca di un equilibrio tra innovazione e tradizione.
Il dibattito sul costo del lavoro aggiunge un ulteriore livello di complessità.
I dati emergenti, ad esempio quelli relativi alle Marche, mettono in luce disparità salariali significative rispetto ad altre regioni italiane, come il Veneto.
Questa divergenza economica, oltre a impattare sul potere d’acquisto dei lavoratori, può generare disuguaglianze territoriali e alimentare un clima di insoddisfazione.
Comprendere le ragioni di queste differenze, che possono essere legate a fattori demografici, strutturali o politici, è essenziale per definire politiche di sostegno mirate e promuovere una crescita equa e inclusiva.
La visione di Fenni si proietta verso il futuro, con un appello alla valorizzazione del territorio marchigiano, inteso come custode di un patrimonio di valori e tradizioni.
Il “vivere bene” non si riduce a un mero status economico, ma implica la tutela dell’ambiente, la promozione della cultura e la garanzia di opportunità per tutti.
Questa sfida, che richiede un impegno congiunto tra istituzioni, imprenditori e cittadini, può rappresentare un motore di sviluppo sostenibile e un esempio virtuoso per l’intero Paese.
L’auspicio è che la nuova governance regionale, o una conferma di quella esistente, sappia accogliere questa visione e collaborare attivamente con il mondo imprenditoriale per costruire un futuro prospero e socialmente responsabile.
L’impegno degli imprenditori, in questo percorso, è imprescindibile: non solo attraverso investimenti in innovazione e formazione, ma anche attraverso un approccio etico e sostenibile che metta al centro il benessere delle persone e la salvaguardia del territorio.