L’imminente scadenza dell’1 agosto impone all’Unione Europea un’intensificazione dei negoziati con gli Stati Uniti, mirando a evitare un’escalation commerciale potenzialmente devastante.
In caso di fallimento di un accordo equo, la Confederazione Generale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa (Cgia) prefigura l’adozione di misure retaliatorie, comprendenti dazi doganali mirati e sanzioni nei confronti delle principali aziende tecnologiche statunitensi.
La questione centrale risiede nella disarmonia tra l’enorme redditività delle big tech americane, generata anche grazie al mercato europeo, e il loro contributo fiscale inaccettabilmente basso.
Questa pratica, deliberatamente orientata a sfruttare regimi fiscali agevolati in giurisdizioni offshore, costituisce un bersaglio primario delle politiche dell’amministrazione Trump, alimentando tensioni internazionali.
L’accordo imposto dagli USA al G7 in Canada, che esclude le loro multinazionali dalla Global Minimum Tax, ne è una palese dimostrazione.
Tale accordo, che prevede una tassazione minima al 15% per le aziende con un fatturato superiore a 750 milioni di euro, si applica quindi in modo differenziato, penalizzando le imprese dei paesi OECD.
L’introduzione di dazi doganali del 30% da parte degli USA potrebbe scatenare un’onda d’urto con ripercussioni immediate sull’export europeo.
Gli effetti negativi andrebbero ben oltre il danno diretto, estendendosi a dinamiche valutarie (una svalutazione accentuata del dollaro rispetto all’euro), all’aumento dell’incertezza sui mercati finanziari e a un incremento generalizzato dei costi delle materie prime.
La Cgia stima un potenziale danno economico al sistema produttivo italiano fino a 35 miliardi di euro all’anno, un ammontare equiparabile al capitale di una rilevante istituzione finanziaria.
Per comprendere la portata del problema, è utile considerare le dimensioni finanziarie dei principali attori coinvolti.
I venti colossi tecnologici statunitensi hanno generato nel 2022 un fatturato globale aggregato di 1.
345 miliardi di euro, una cifra che ha quasi superato il Prodotto Interno Lordo dell’Italia.
Al contrario, le principali multinazionali del web operanti in Italia hanno fatturato 9,3 miliardi di euro, versando in tutto solo 206 milioni di euro al fisco nazionale.
Questa disparità evidenzia una profonda ingiustizia che richiede un’azione decisa da parte dell’UE per ristabilire un sistema fiscale più equo e sostenibile.
La necessità di una riforma globale della tassazione delle multinazionali, che impedisca l’elusione fiscale e garantisca una distribuzione più equa degli oneri fiscali, è diventata un imperativo economico e politico.