La potenziale chiusura dello Stretto di Hormuz, un collo di bottiglia cruciale per il commercio globale, evoca parallelismi inquietanti con l’episodio della Ever Given bloccata nel Canale di Suez. Questa analogia, evidenziata da Alessandro De Pol, Direttore Generale dell’Agenzia Marittima Triestina, non riguarda solo la possibilità di un’interruzione immediata, ma soprattutto le conseguenze strutturali a lungo termine per l’economia mondiale.Mentre l’impatto diretto sul porto di Trieste nel breve-medio periodo potrebbe apparire contenuto – De Pol stima una percentuale inferiore al 10% del greggio destinato alla Siot-Tal proveniente da quella regione – la ripercussione più significativa risiede nella ricerca di fornitori alternativi. Tale processo, inevitabile nel tempo, genererebbe un’escalation dei prezzi del petrolio, alterando la dinamica del mercato energetico globale.Attualmente, le forniture di Trieste diversificano le fonti, attingendo da Egitto, Mar Nero, Nord Europa e Stati Uniti, garantendo una certa resilienza. Tuttavia, lo Stretto di Hormuz rimane l’unico varco marittimo verso il Golfo Persico, arteria vitale per il transito di petrolio e gas provenienti da Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, Qatar e Bahrein.Le attuali condizioni di prezzi moderati, secondo alcuni analisti, sono mantenute grazie a riserve strategiche e all’assenza di interruzioni significative nella produzione petrolifera iraniana, nonostante la sua posizione di primo produttore mondiale di gas naturale e petrolio. Nonostante ciò, una chiusura dello Stretto potrebbe scatenare un’impennata incontrollata dei prezzi del greggio, con effetti a catena sull’inflazione e sulla crescita economica.La rilevanza dello Stretto di Hormuz non si limita al petrolio. Il centro studi Srm quantifica il traffico marittimo mondiale di petrolio che lo attraversa al 27%, pari a ben 880 milioni di tonnellate annuali. Parallelamente, lo Stretto è un punto nevralgico per il traffico container, collegando porti strategici degli Emirati Arabi – come Dubai e Abu Dhabi – con un volume di movimentazione di oltre 26 milioni di Teu. Questa interconnessione amplifica ulteriormente il rischio di interruzione. Le tariffe assicurative per le navi che lo attraversano sono già aumentate del 60%, segno tangibile della crescente preoccupazione.Infine, lo Stretto è cruciale per la rotta del gas naturale mondiale, con circa il 20% del flusso globale che lo transita, inclusi 123 milioni di tonnellate di GNL. I recenti attacchi israeliani, come sottolineato dal Financial Times, hanno già comportato una riduzione della produzione nel gigantesco giacimento South Pars, sebbene l’entità dei danni strutturali rimanga incerta. A questo si aggiunge la dipendenza della Cina, un gigante economico mondiale, sia per il petrolio che per il gas che passa per lo Stretto o è estratto localmente, accentuando la complessità della situazione. La vulnerabilità intrinseca di questo sistema, se compromessa, potrebbe innescare una crisi energetica globale dalle conseguenze incalcolabili.
Hormuz: il nuovo Suez? Rischi e impatti sull’economia globale.
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