La decisione dell’Ungheria di uscire dalla Corte Penale Internazionale (Cpi) non è stata accolta con entusiasmo da tutti i politici italiani, soprattutto quelli che difendono l’appartenenza del nostro paese a tale organizzazione. Matteo Salvini, il leader dei fiorentini e vicepremier della Repubblica italiana, ha espresso la sua soddisfazione per la scelta ungherese, definendo il rifiuto dell’Ungheria ad aderire alla Cpi una “libertà” conquistata. La posizione di Salvini è stata commentata anche dal vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che ha espresso la sua opinione in merito a questa decisione.Secondo Tajani, l’Italia non dovrebbe seguire l’esempio dell’Ungheria lasciando la Cpi. Egli ha sottolineato come tale organizzazione abbia il ruolo di garantire i diritti delle vittime delle violazioni dei diritti umani e di perseguire chi commette crimini contro l’umanità, un obiettivo importante per tutti i paesi membri.La posizione di Tajani è stata sostenuta da molti esponenti della politica italiana, che sostengono la necessità dell’Italia rimanere nella Cpi. Essa si articola in diversi punti: innanzitutto l’adesione italiana alla Cpi rappresenta un impegno di cooperazione internazionale nel campo giuridico e penale, permettendo di perseguire gli autori di crimini contro l’umanità con mezzi legali. In secondo luogo, la presenza italiana in questa corte garantisce i diritti delle vittime di violazioni dei diritti umani e contribuisce alla difesa dell’ordinamento giuridico internazionale. Diversamente da quanto sostenuto dal vicepremier Salvini, uscire dalla Cpi comporterebbe, per l’Italia, la mancanza di un quadro normativo che definisce i limiti dei crimini contro l’umanità e delle violazioni dei diritti umani.