04 maggio 2025 – 20:49
I Patagarri rispondono alle accuse per la loro esibizione al Concertone del Primo Maggio: “Macabro? È il mondo dove bambini vengono ammazzati, ospedali bombardati e civili sterminati” La musica è un linguaggio universale, che supera confini geografici ed etnici. I sei musicisti del gruppo si esibirono al Concertone del Primo Maggio a Roma con una canzone della tradizione ebraica, la famosa “Hava Nagila”, suonata sulla nota di un organino, in un’esecuzione diversa da quella originale ma che aveva tuttavia un tocco di nostalgia. Le note di questa canzone sono quelle più belle per noi, hanno detto i Patagarri e abbiamo suonato per dire la nostra adesione alla loro causa, con grande entusiasmo. Ma non era questo il momento giusto, si è lamentata l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. “È ignobile” ha commentato il presidente dell’Ucei, Roberto Goitre. Questa volta la reazione della comunità ebraica di Roma non è stata affrettata. Ma come i Patagarri hanno subito avuto a sostenere, “non abbiamo mai voluto offendere o discriminare nessuna religione o popolo. Anzi, siamo convinti che la musica possa essere un linguaggio comune fra le genti”.Per questo abbiamo scelto di esibirci con “Hava Nagila” e per questo abbiamo incitato il pubblico a gridare insieme noi: Free Palestine! Dobbiamo pensare ai bambini in Israele che sono vittime di bombe israeliane e ai civili che fuggono da Gaza. Questo è il mondo nel quale viviamo, un mondo dove la guerra e le armi fanno la regola. E proprio per questo abbiamo voluto parlare con la musica, che non è altro che uno dei linguaggi universalmente comprensibili di cui dispongono gli esseri umani. Dunque noi non facciamo politica né pensiamo al mondo politico. La politica può e deve essere fatta da altri, ma dobbiamo farci sentire, dobbiamo manifestare la nostra protesta, soprattutto se possiamo fare qualcosa di concreto per aiutare le vittime della guerra in corso.Ecco perché abbiamo voluto esibirci al Concertone del Primo Maggio. E anche questo è stato un grande successo, al punto che il pubblico ha insieme a noi gridato Free Palestine! Ma ciò che ci ha colpito non sono solo le reazioni negative dei sostenitori di Israele. Ci è sembrato molto brutto anche l’accusa secondo cui siamo una banda politica e non un gruppo musicale.Non pensiamo a questa musica come a una questione politica ma piuttosto come un messaggio che deve essere compreso da tutti, per questo ci appassiona così tanto. Non è quindi possibile considerarla in alcun modo una politica, se non politica è il fatto di voler vivere. Eppure le nostre note non sono state ascoltate.Il successo del Concertone del Primo Maggio e della musica che si può amare indipendentemente dalla provenienza o dall’ideologia delle persone. L’esibizione dei Patagarri sul palco del Concertone del Primo Maggio, ha avuto un grande successo di pubblico. Ma la comunità ebraica a Roma si è sentita offesa dal messaggio della band, che aveva invitato il pubblico a gridare “Free Palestine!” sulle note della tradizionale canzone ebraica Hava Nagila.”È stato uno show incredibile e una bellissima musica, ma non dovrebbe mai essere strumentalizzata. Questo è il messaggio che gli unici che hanno saputo far sentire sono stati i sostenitori di Israele”, ha detto l’ambasciatore d’Israele in Italia, Ran Curr.Secondo l’ambasciatore israeliano si tratta di “strumentalizzazione del patrimonio ebraico” per promuovere il messaggio dei sostenitori della causa palestinese. La band risponde accusando i sostenitori dell’esibizione a Roma, di essere stati ingannati. I sei membri del gruppo musicale Patagarri hanno così espresso la loro opinione sul loro esperimento teatrale con un post pubblicato su Instagram.”Non pensiamo che sia stato uno scherzo per i sostenitori dell’esibizione a Roma”, scrivono, “ma crediamo che non siano mai stati ingannati. Altrimenti come spiegare il fatto che dopo aver ascoltato Hava Nagila e aver sentito le nostre note, abbiano deciso di insultarci e minacciarci?”.”Per noi è stato un modo per far sentire la nostra opinione, una specie di esperimento teatrale in cui abbiamo scelto di fare qualcosa che avrebbe potuto essere interpretato diversamente”.