lunedì, 7 Luglio 2025
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Martina Oppelli: la battaglia per il diritto di fine vita a Trieste.

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Martina Oppelli, quarantanove anni, residente a Trieste, incarna una battaglia complessa e profondamente umana. Affetta da sclerosi multipla da due decenni, la sua esistenza è stata progressivamente limitata fino alla tetraplegia, una condizione che la confina in una realtà di totale dipendenza assistenziale. Il suo caso, tornato all’attenzione pubblica con una nuova opposizione al diniego dell’azienda sanitaria locale, solleva questioni etiche, mediche e legali di straordinaria rilevanza nel dibattito sul diritto di fine vita.La vicenda si inserisce in un contesto legale delicato. La sentenza della Corte Costituzionale del 2021 ha delineato condizioni stringenti per l’accesso al suicidio medicalmente assistito, richiedendo una sofferenza intollerabile, coscienza piena e capacità di prendere decisioni libere. Queste condizioni, formulate per bilanciare il diritto individuale all’autodeterminazione con la tutela della vita e la prevenzione di abusi, rendono l’accesso a tale procedura estremamente limitato.L’azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina (Asugi) ha ripetutamente negato a Martina Oppelli l’accesso alla procedura di verifica delle condizioni necessarie, adducendo la mancanza di un “trattamento di sostegno vitale in corso”. Questa motivazione, apparentemente tecnica, cela una complessità concettuale significativa. La definizione stessa di “sostegno vitale” è oggetto di interpretazioni diverse, e la sua assenza, secondo la posizione dell’Asugi, escluderebbe Martina dai requisiti previsti dalla sentenza della Corte Costituzionale.Tuttavia, l’argomentazione è contestabile. La condizione di Martina non è semplicemente una mancanza di interventi invasivi; è una dipendenza totale da assistenza per ogni aspetto della vita, una condizione che la rende intrinsecamente vulnerabile e, a suo dire, insopportabile. La sua richiesta di assistenza al suicidio non è un atto impulsivo, ma il risultato di una profonda riflessione sulla propria condizione e sulla perdita di autonomia.Il caso di Martina Oppelli non è isolato. Diversi pazienti affetti da malattie degenerative progressive si trovano in situazioni analoghe, combattendo per esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione e alla dignità, spesso ostacolati da interpretazioni restrittive delle normative vigenti. La sua battaglia pone interrogativi cruciali: fino a che punto la tutela della vita umana deve prevalere sul diritto individuale alla libertà di scelta? Come si può conciliare il rispetto per l’autonomia del paziente con la responsabilità del sistema sanitario? E, soprattutto, come garantire un accesso equo e trasparente a procedure di fine vita per coloro che ne sussistono i presupposti?La vicenda di Martina non è solo una questione legale, ma un monito sulla necessità di un dibattito pubblico più ampio e consapevole sul diritto di fine vita, che tenga conto della complessità delle condizioni umane e del diritto di ogni individuo a scegliere la propria strada, anche quando questa conduce alla fine.

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