La corsa alla neutralità climatica in Europa si fa più complessa, ma assume contorni più pragmatici con la nuova proposta della Commissione Europea per i target climatici al 2040. Il documento, frutto di intense negoziazioni e compromessi, stabilisce un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra del 90% rispetto ai livelli del 1990, un traguardo ambizioso che si pone come tassello fondamentale per l’azzeramento delle emissioni netto entro il 2050.La novità più rilevante e potenzialmente controversa risiede nell’introduzione di una “flessibilità” operativa per gli Stati membri, che prevede la possibilità di ricorrere a crediti di carbonio generati in Paesi terzi extra-UE per raggiungere la riduzione complessiva. Fino al 3% del fabbisogno di riduzione delle emissioni potrebbe essere soddisfatto attraverso l’acquisto di questi crediti, una misura che mira a facilitare il raggiungimento dell’obiettivo, soprattutto per quei Paesi che si trovano ad affrontare sfide economiche o tecnologiche particolarmente complesse.L’introduzione di crediti internazionali rappresenta un cambio di paradigma nella politica climatica europea. Storicamente, l’Unione Europea si è concentrata principalmente sulle azioni di mitigazione all’interno dei propri confini, ma la crescente consapevolezza della necessità di un approccio globale alla lotta contro il cambiamento climatico ha portato a questa apertura verso meccanismi di compensazione esteri. Questa decisione, tuttavia, solleva interrogativi cruciali sulla trasparenza, la verificabilità e l’impatto ambientale reale dei progetti che generano tali crediti. Bruxelles dovrà definire rigorosi criteri di ammissibilità, garantendo che le attività siano effettivamente “verdi”, sostenibili e che non comportino impatti negativi sulle comunità locali o sull’ambiente dei Paesi coinvolti.La proposta è stata accolta con reazioni contrastanti. I fautori del Green Deal esprimono preoccupazioni per il rischio di una “deregulation” camuffata, temendo che l’acquisto di crediti possa indebolire gli sforzi di decarbonizzazione interni e incentivare pratiche di “greenwashing”. Altri sostengono che, se gestita correttamente, questa flessibilità possa rappresentare uno strumento efficace per accelerare la transizione ecologica a livello globale, promuovendo investimenti in tecnologie pulite e progetti di sostenibilità nei Paesi in via di sviluppo.Ursula von der Leyen ha sottolineato che l’approccio è pragmatico e realistico, riflettendo la necessità di bilanciare ambizione climatica e fattibilità politica. Il commissario Wopke Hoekstra ha ammesso che la decisione è stata presa dopo lunghe consultazioni con gli Stati membri più riluttanti, un segnale della delicatezza del percorso negoziale e della necessità di trovare un terreno comune tra posizioni divergenti. La sfida ora è trasformare questa proposta in un accordo vincolante per il Parlamento Europeo e gli Stati membri, garantendo che la flessibilità offerta non comprometta l’integrità degli obiettivi climatici europei e contribuisca effettivamente a costruire un futuro più sostenibile per tutti. Il dibattito è aperto e il futuro della politica climatica europea è in bilico.