“Siamo sale e lievito del Regno”: con queste parole, monsignor Benoni Ambarus ha preso possesso della sua nuova sede, l’Arcidiocesi di Matera-Irsina e la diocesi di Tricarico, proferendo un messaggio di speranza e resilienza di fronte alle sfide del nostro tempo.
La celebrazione, gremita in piazza Duomo, ha visto la comunità locale accogliere il nuovo pastore, sottolineando la continuità spirituale e l’apertura verso un futuro condiviso.
Il suo intervento ha superato la mera accoglienza formale, delineando un’esortazione alla fiducia e all’accoglienza.
“Non lasciamoci sopraffare dalla rassegnazione,” ha esortato il nuovo Arcivescovo, “ma ancoriamo il nostro cuore alla speranza, incontrando il Risorto sulle strade del mondo, perché cammini con noi.
” Questa affermazione non è un semplice incoraggiamento, ma una chiamata all’azione, un invito a riconoscere la presenza divina anche nelle situazioni più difficili, nelle ombre della vita quotidiana.
Monsignor Ambarus ha focalizzato la sua riflessione sulle fragilità umane, menzionando esplicitamente le difficoltà che affliggono molti: la povertà, la disoccupazione, le migrazioni forzate, la solitudine, la malattia, la reclusione.
Queste non sono statistiche astratte, ma realtà concrete che toccano la vita di persone reali, e la Chiesa è chiamata a offrire non solo assistenza materiale, ma soprattutto conforto spirituale e una luce di speranza.
Il motto episcopale scelto, “Ha messo tutto quello che aveva!”, tratto dal racconto evangelico della vedova povera, è emblematico dell’atteggiamento che il nuovo Arcivescovo intende promuovere: una generosità totale, un impegno senza riserve al servizio del prossimo.
Si tratta di un modello di dedizione che invita a superare l’egoismo e l’indifferenza, a riconoscere il valore intrinseco di ogni persona, indipendentemente dalla sua condizione sociale o materiale.
L’omelia ha approfondito il tema dell’accoglienza, intesa non come semplice atto di cortesia, ma come fondamento della fede cristiana.
“Cristo in noi, speranza della gloria che noi annunciamo,” ha ricordato citando San Paolo.
La presenza di Cristo si manifesta nell’incontro con l’altro, nell’apertura al diverso, nella capacità di riconoscere il volto di Dio nell’uomo che soffre.
La giornata è stata densa di significati.
Prima della cerimonia ufficiale, l’Arcivescovo ha visitato luoghi simbolo della realtà locale: la casa circondariale, la casa di riposo Brancaccio e la mensa dei poveri Don Giovanni Mele.
Questi gesti concreti testimoniano un desiderio di prossimità e di attenzione verso le periferie esistenziali, i luoghi dove la sofferenza e l’abbandono feriscono più profondamente.
La successiva visita a Irsina, con la celebrazione della Messa e l’incontro con le istituzioni locali, ha rafforzato il messaggio di apertura e di dialogo che anima il suo ministero.
La sua figura, quella del primo vescovo straniero a diventare italiano, nato in Romania e formatosi a Roma, incarna un’identità plurale e un’esperienza di integrazione che arricchiscono il tessuto ecclesiale e civile.
La sua nomina, un evento significativo nella storia della Chiesa italiana, rappresenta un segno di apertura e di accoglienza verso le comunità immigrate, un invito a costruire ponti di dialogo e di comprensione reciproca.
L’evento del giuramento da cittadino italiano, a distanza di anni dallo studio e dalla formazione, sottolinea un percorso di appartenenza e di impegno verso la comunità che lo accoglie, un percorso che ora si traduce in una missione pastorale volta a seminare speranza e a promuovere la carità.