L’immagine dell’Italia come terra accogliente per i padri desiderosi di un coinvolgimento attivo nella crescita dei figli si rivela, con crescente evidenza, una visione parziale e incongruente. Il recente Rapporto Sosef (State of Southern European Fathers), un’analisi comparativa dei modelli paterni in Spagna, Portogallo e Italia, proietta un quadro allarmante, che evidenzia un profondo divario nel riconoscimento e nel supporto del ruolo maschile nella genitorialità.Il dato più significativo, eppure solo uno dei tanti, è il marcato squilibrio tra congedi di maternità e paternità. Mentre il nostro Paese fatica a innalzare i tassi di occupazione femminile (fermando il dato al 53% nel 2024), il divario tra le 21 settimane previste per la madre e i miseri 10 giorni (equivalenti a due settimane) a disposizione del padre, è il più ampio d’Europa, ben al di sopra dei modelli spagnoli (16 settimane) e portoghesi, che mostrano una maggiore sensibilità verso la necessità di una condivisione equa delle responsabilità genitoriali.Le riflessioni presentate dalla sociologa Annina Lubbock e dall’antropologa Barbara Vatta, entrambe impegnate nel Centro per la salute di bambine e bambini (Csb), sottolineano come questa anomalia non sia un mero disallineamento legislativo, bensì il risultato di un complesso intreccio di fattori sociali, culturali e strutturali. Si tratta di un sistema che, implicitamente, continua a relegare l’uomo a un ruolo secondario nella cura dei figli, perpetuando stereotipi di genere obsoleti e limitando le opportunità per una reale parità genitoriale.L’analisi Sosef non si limita a una diagnosi del problema, ma ne traccia le radici. La cultura del lavoro italiana, caratterizzata da una scarsa flessibilità e da una forte pressione sulla produttività maschile, rende spesso difficile per i padri usufruire dei pochi giorni di congedo a loro concessi, per paura di ripercussioni professionali. La mancanza di servizi di supporto alla famiglia, come asili nido accessibili e di qualità, aggrava ulteriormente la situazione, costringendo spesso le coppie a scelte economiche che penalizzano la presenza paterna.La situazione italiana, quindi, non è semplicemente un problema di legislazione, ma un nodo complesso che coinvolge la cultura del lavoro, la mentalità collettiva e la mancanza di politiche a sostegno della famiglia. Richiede un cambiamento profondo, che vada oltre le semplici modifiche normative e che promuova una visione della paternità più attiva, presente e riconosciuta come fondamentale per lo sviluppo armonioso dei figli e per una reale parità di genere nella società. Il confronto con Spagna e Portogallo non è un semplice dato statistico, ma un invito a ripensare il futuro della famiglia italiana e a costruire un Paese in cui i padri possano essere protagonisti attivi nella vita dei loro figli, senza timore o penalizzazioni.
Padri a metà: l’Italia zavorra la condivisione genitoriale
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