giovedì, 10 Luglio 2025
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Pignatone e le cave: nuova inchiesta tra mafia, giustizia e Borsellino

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L’ex magistrato Giuseppe Pignatone, figura di spicco nella storia giudiziaria italiana avendo ricoperto ruoli di primo piano come procuratore aggiunto di Roma e presidente del tribunale vaticano, si è trovato recentemente al centro di un’indagine delicata da parte della Procura di Caltanissetta.
L’iscrizione nel registro degli indagati, con l’accusa di favoreggiamento alla mafia, ha aperto una nuova fase in un’inchiesta che mira a fare luce su presunte irregolarità nell’archiviazione di un caso cruciale riguardante infiltrazioni mafiose in appalti pubblici, in particolare nel settore delle cave toscane.

L’interrogatorio, condotto dai magistrati Salvo De Luca, Davide Spina e Claudia Pasciuti, ha rappresentato un momento chiave, permettendo a Pignatone di esporre la propria versione dei fatti in un contesto accusatorio che lo vede coinvolto assieme all’ex procuratore di Palermo Gioacchino Natoli e al generale Stefano Screpanti.
Il nodo centrale dell’indagine ruota attorno all’ipotesi che Pignatone, in collaborazione con Natoli e, presumibilmente, con l’allora capitano della Guardia di Finanza, abbia orchestrato un’indagine apparente, caratterizzata da limiti temporali artificiali e da una restrizione deliberata del numero di soggetti monitorati.

L’accusa si concentra anche su un presunto impulso fornito da Pignatone a Natoli affinché richiedesse l’archiviazione del procedimento sulle cave, senza un’approfondita analisi delle intercettazioni telefoniche potenzialmente cruciali.

La finalità di tale azione, secondo la Procura di Caltanissetta, sarebbe stata quella di proteggere imprenditori con legami mafiosi, come Antonino Buscemi e Francesco Bonura, eludendo così i controlli degli investigatori.
Un elemento particolarmente grave contestato è la presunta istigazione alla distruzione delle bobine e dei brogliacci contenenti le intercettazioni, un’azione volta a cancellare ogni traccia delle informazioni raccolte.

Tuttavia, le indagini hanno rivelato che l’ordine di distruzione non è mai stato eseguito; le bobine e i brogliacci sono stati ritrovati e, come ammesso dalla Procura, la prassi di distruzione era comune in casi considerati privi di rilevanza.

Questo dettaglio solleva interrogativi sull’effettiva materialità dell’azione contestata e sulla correttezza dell’interpretazione dei fatti.
La riapertura di questo dossier, già oggetto di una precedente indagine conclusasi con un nulla di fatto, ha riacceso il dibattito pubblico e ha coinvolto direttamente i familiari del giudice Paolo Borsellino.
Questi ultimi avanzano la tesi che le infiltrazioni di Cosa Nostra nei grandi lavori pubblici potrebbero aver costituito il movente della strage di via D’Amelio, suggerendo che Borsellino potrebbe essere stato eliminato proprio per impedirgli di approfondire le indagini.
La vicenda, pertanto, assume una dimensione storica e giudiziaria di enorme rilevanza, sollevando interrogativi sul rapporto tra potere giudiziario, criminalità organizzata e verità storica, e alimentando la ricerca di un quadro completo e inconfutabile.

L’inchiesta si prefigge ora di accertare con certezza ogni aspetto, per chiarire se e come la gestione del caso delle cave toscane abbia compromesso la ricerca della giustizia e la tutela della memoria del giudice Borsellino.

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