La vicenda di Barbara Raimondo, figura professionale un tempo legata a una consolidata dinastia forense genovese, si è conclusa con un epilogo drammatico e definitivo: la radiazione dall’albo degli avvocati, preludio a una pena detentiva che si profila incombente. La donna, 59 anni, si è vista negare ogni possibilità di continuare ad esercitare la professione a seguito di un iter giudiziario e disciplinare che l’ha coinvolta in accuse di gravissima natura, con ripercussioni devastanti per la sua assistita, un’anziana vulnerabile di cui aveva la responsabilità legale come amministratore di sostegno.L’accusa principale che ha portato alla condanna in primo grado, con la concessione del rito abbreviato, verte su un presunto peculato e falsificazione documentale, con un danno patrimoniale quantificato in oltre un milione di euro sottratto all’anziana. Questa somma, destinata a garantire il sostentamento e la cura della cliente, sarebbe stata invece dirottata per scopi personali, configurando un abuso di fiducia di straordinaria gravità.Nonostante la difesa, affidata agli avvocati Alessandro Vaccaro e Andrea Vernazza, avesse presentato appello contro la sentenza, il procedimento di secondo grado è stato ripetutamente sospeso. La ragione principale di questi rinvii risiede nella promessa, mai concretizzata, di un risarcimento parziale del danno causato. Questa circostanza, unitamente alla complessità delle indagini finanziarie e alla necessità di ricostruire il percorso delle somme sottratte, ha contribuito a prolungare l’incertezza sul futuro della Raimondo.Il procedimento disciplinare, tuttavia, ha mantenuto una propria autonomia e ha seguito un percorso più rapido rispetto a quello penale. Già nel febbraio dell’anno precedente, il Consiglio di Disciplina dell’Ordine degli Avvocati di Genova aveva espresso un severo giudizio, disponendo la radiazione della Raimondo. La sua richiesta di riesame, inoltrata al Consiglio Nazionale Forense, si è rivelata infondata, sancendo la definitiva perdita del titolo professionale. Questa decisione, con la sua inappellabilità, rappresenta una condanna morale non meno incisiva della pena detentiva che ancora incombe. La vicenda solleva interrogativi cruciali sul ruolo e sulla responsabilità degli amministratori di sostegno, figure professionali chiamate a tutelare gli interessi di persone fragili e vulnerabili. La gravità delle accuse a carico di Barbara Raimondo evidenzia la necessità di un controllo più rigoroso e di una maggiore trasparenza nell’esercizio di tale incarico, al fine di prevenire abusi e garantire la protezione effettiva dei soggetti più deboli. La vicenda, inoltre, pone l’attenzione sulla compatibilità tra il decoro della professione forense e comportamenti che, come quelli contestati alla Raimondo, neledono i principi fondamentali di lealtà, correttezza e fiducia.
Radiazione e Pena: La Caduta di un Avvocato Genovese
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