sabato, 7 Giugno 2025
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Riccardo, l’arma stordente e il dolore: interrogativi urgenti per la giustizia.

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La tragica scomparsa di Riccardo, deceduto a Pescara in seguito a un arresto cardiorespiratorio dopo il contatto con un’arma stordente utilizzata dalle forze dell’ordine, solleva interrogativi urgenti e profondi sui protocolli di gestione delle situazioni di vulnerabilità e sulla responsabilità istituzionale. La domanda posta dal padre, Andrea Zappone, non è solo una richiesta di chiarimenti, ma un grido di dolore che riflette una disillusione amara e una necessità impellente di giustizia.L’episodio, così come riportato, evidenzia una disconnessione allarmante tra la conoscenza pregressa delle autorità riguardo alla condizione dell’uomo e le azioni intraprese. Se le forze dell’ordine erano a conoscenza della sua storia clinica e delle sue fragilità, perché non è stato attuato il percorso di intervento più appropriato, ovvero il ricorso al 118 e l’attivazione del trattamento sanitario obbligatorio (TSO), come già accaduto in circostanze analoghe? L’utilizzo di un’arma stordente, un dispositivo progettato per immobilizzare attraverso una scarica elettrica, appare in questo contesto una scelta sproporzionata e potenzialmente fatale.La questione non si limita alla legittimità dell’uso della forza, ma si estende alla valutazione del rischio e alla pianificazione di interventi mirati. La presenza di una preesistente condizione di vulnerabilità – che il padre nega fosse cardiologica, ma che comunque suggerisce una fragilità intrinseca – imponeva un approccio basato sulla de-escalation, sulla comunicazione empatica e, soprattutto, sulla priorità della tutela della salute dell’individuo.L’episodio invita a una riflessione critica sulla formazione e l’addestramento del personale delle forze dell’ordine, sulla necessità di integrare competenze mediche e psicologiche nei protocolli di intervento, e sull’importanza di promuovere una cultura della prevenzione e della responsabilizzazione. Non si tratta di demonizzare le forze dell’ordine, ma di garantire che abbiano gli strumenti e le conoscenze necessarie per affrontare situazioni complesse nel modo più sicuro ed efficace possibile, proteggendo sia l’ordine pubblico che la dignità e la salute dei cittadini.La promessa di Andrea Zappone di perseguire la verità rappresenta non solo una ricerca personale di giustizia per il figlio, ma anche un monito per l’intera comunità, un invito a non chiudere gli occhi di fronte alle fragilità umane e a garantire che la risposta istituzionale sia sempre improntata alla compassione, alla prudenza e al rispetto dei diritti fondamentali. La vicenda di Riccardo deve essere un punto di svolta, un’occasione per riscrivere le regole dell’intervento di prossimità e per costruire un sistema più umano e giusto.

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