Il silenzio in aula si è rotto con le parole di Daniele Rezza, l’uomo accusato per la tragica perdita di Manuel Mastrapasqua, una giovane vita spegnata a Rozzano in circostanze che ora vengono esaminate dalla Corte d’Assise di Milano. La richiesta di perdono, formulata immediatamente, emerge come un tentativo di lenire il dolore che ha inflitto alla famiglia della vittima, un dolore che si materializza nella presenza commossa e lacerata della madre di Manuel. La lettera di scuse, inviata subito dopo la detenzione, preludeva a un percorso di giustizia riparativa, una volontà espressa in un contesto di profonda riflessione e, presumibilmente, pentimento.La ricostruzione fornita dall’imputato è una narrazione frammentata, un tentativo di delineare un evento che ha assunto proporzioni inimmaginabili. L’intenzione iniziale, a suo dire, era di rapina, un gesto impulsivo che avrebbe dovuto limitarsi all’ottenimento di qualche bene materiale. La versione di Rezza si scontra con la disperata negazione della madre di Manuel, un grido di dolore che testimonia la profonda incrinatura tra la percezione dei fatti da parte dell’imputato e la realtà vissuta dai familiari.La dinamica descritta dall’imputato è quella di una escalation improvvisa: una reazione inaspettata da parte di Manuel, una colluttazione che ha portato, per un istante fatale, a un gesto violento e irreversibile. La sua deposizione, tuttavia, presenta lacune e ambiguità; l’assenza di consapevolezza immediata della gravità del gesto, la mancata percezione delle tracce di sangue, appaiono come tentativi di distanziarsi emotivamente dalla responsabilità del proprio atto. La scoperta, il giorno successivo, attraverso i media, la presa di coscienza della morte di Manuel, segnano un punto di svolta nella sua percezione degli eventi.L’imputato ha avuto modo di parlare di Manuel, di quel legame che si era tessuto nel corso degli anni, una relazione nata dalla prossimità geografica – Manuel abitava sopra l’appartamento della nonna di Rezza – e che si era concretizzata in una quotidianità fatta di incontri e scambi. La descrizione di Manuel come una persona gentile, premurosa, mite, offre un contrasto stridente con la brutalità del gesto che lo ha strappato alla vita, e suggerisce una profonda contraddizione nell’animo dell’imputato. Queste parole, pronunciate sotto la guida dell’avvocato Roberta Minotti, che rappresenta i familiari di Manuel, denotano un tentativo di umanizzare la vittima, forse come espressione di un rimorso sincero, o come tentativo di mitigare la propria colpevolezza.Il processo si configura come un confronto tra due visioni opposte: quella dell’imputato, che cerca di spiegare, o almeno di attenuare, la propria responsabilità; e quella dei familiari di Manuel, che si confrontano con un dolore incommensurabile e con la necessità di comprendere un evento che ha sconvolto le loro esistenze. La giustizia riparativa, invocata dall’imputato, rappresenta una prospettiva di riconciliazione e di responsabilizzazione, ma la sua efficacia dipenderà dalla capacità di Rezza di assumersi pienamente la responsabilità del proprio gesto e di contribuire, attivamente, a lenire il dolore della famiglia Mastrapasqua. La sentenza, in definitiva, dovrà tenere conto non solo della gravità del reato commesso, ma anche della complessità emotiva e psicologica che caratterizza questo tragico episodio.
Rozzano, processo Mastrapasqua: l’imputato chiede perdono.
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