La gestione della sanità campana si trova a navigare in acque agitate, segnate da una crescente tensione tra la Regione e il Governo nazionale, con implicazioni profonde per l’accessibilità e la qualità dei servizi.
La scadenza del commissariamento del 2019, un termine stabilito per la riorganizzazione della sanità regionale, è ora al centro di un controverso dibattito, con l’esecutivo centrale che sembra esercitare una pressione ingiustificata per l’uscita del regime di controllo.
Le recenti decisioni riguardanti la chiusura di punti nascita, in particolare nella provincia di Caserta (Sessa Aurunca e Piedimonte Matese), rappresentano un nodo cruciale in questa complessa situazione.
Secondo quanto affermato dal presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, tali scelte non sono frutto di una decisione autonoma, bensì l’esito di direttive imposte a livello governativo.
La normativa, apparentemente volta a garantire standard minimi di efficienza e sicurezza, impone la cessazione delle attività per i punti nascita al di sotto di una soglia di 500 parti all’anno e per i laboratori di analisi che superano a malapena le 200.
000 prestazioni annuali.
Questa imposizione, lungi dall’essere una soluzione ottimale, rischia di compromettere l’offerta sanitaria in aree territorialmente sensibili, penalizzando soprattutto le comunità più isolate.
La Regione Campania aveva proposto, in alternativa, soluzioni più mirate e collaborative, come l’accorpamento di strutture esistenti, ad esempio la potenziale integrazione tra i punti nascita di Sapri e Vallo della Lucania, nel Salernitano.
Questa proposta, pensata per ottimizzare le risorse e garantire comunque un adeguato servizio, è stata respinta, evidenziando una rigidità interpretativa delle direttive nazionali che non tiene conto delle specificità regionali e delle reali esigenze del territorio.
La questione solleva interrogativi profondi sulla governance del sistema sanitario nazionale, evidenziando un potenziale squilibrio di potere tra il governo centrale e le regioni, che si ritrovano a dover attuare decisioni imposte senza un reale coinvolgimento nella fase decisionale.
La chiusura di queste strutture, oltre a ridurre l’offerta di servizi, rischia di generare disagi per i cittadini, costretti a percorrere maggiori distanze per accedere alle cure, con un impatto significativo soprattutto per le donne in gravidanza e le famiglie con bambini piccoli.
La vicenda sottolinea la necessità di un dialogo costruttivo e di una maggiore flessibilità nell’applicazione delle normative, al fine di garantire un sistema sanitario equo, efficiente e realmente al servizio dei bisogni della popolazione.
Il futuro della sanità campana appare dunque appeso a un filo, in attesa di una risoluzione che possa conciliare le esigenze della governance nazionale con la tutela della salute dei cittadini.