La partecipazione della comunità ebraica milanese al Pride, evento che si appresta a tingere di arcobaleno la città, quest’anno è segnata da una profonda spaccatura, che la costringe a un doloroso distacco. Un silenzio assordante, per la prima volta in decenni, si farà sentire in piazza, a causa di una divergenza irrisolta riguardante l’uso di un termine specifico: “genocidio”.Davide Romano, direttore del Museo della Brigata Ebraica di Milano, ha espresso il suo rammarico con una dichiarazione che tocca le corde più sensibili della comunità. La decisione di non partecipare, presa con sofferenza, non è frutto di un gesto isolato, ma riflette un crescente disagio e una preoccupazione palpabile per la sicurezza e la percezione della comunità ebraica, in particolare quella composta da membri Lgbti. L’utilizzo del termine “genocidio” per descrivere la situazione in Palestina, come presente nel documento politico del Pride milanese, viene percepito come un’arma a doppio taglio, capace di alimentare l’antisemitismo e di esporre a rischio diretto i membri della comunità.Questa tensione si è manifestata con forza anche in altre città, come Roma, dove Keshet Europe, l’associazione che riunisce ebrei Lgbti europei, è stata oggetto di contestazioni violente, con grida di “assassini” e “terroristi”. Anche il Toscana Pride ha negato la partecipazione di Keshet Italia, precludendo l’esposizione di bandiere arcobaleno con la stella ebraica, un simbolo di inclusione che ora appare compromesso da questo controverso dibattito.Romano sottolinea l’ironia amara di una situazione che vede sostenitori della sensibilità linguistica e dell’attenzione alle parole, che dovrebbero essere uno strumento di costruzione e non di distruzione, indifferenti all’impatto devastante di un termine come “genocidio”. Una parola carica di storia e di dolore, che rischia di riaccendere un’onda di odio e di pregiudizio, colpendo indiscriminatamente tutti gli italiani di fede ebraica. L’empatia e la solidarietà verso le vittime innocenti di Gaza rimangono incrollabili, ma la scelta di allontanarsi da un evento che abbraccia un linguaggio considerato fuorviante e potenzialmente pericoloso, rappresenta una decisione dolorosa, ma necessaria per tutelare la propria sicurezza e preservare la propria identità. La comunità ebraica milanese si ritrova così a confrontarsi con un dilemma complesso, in cui la ricerca di inclusione e la difesa dei diritti delle minoranze si scontrano con la necessità di proteggere se stessa dalle conseguenze di un linguaggio carico di risvolti negativi. L’assenza al Pride non è un atto di ostilità, ma un segnale di disagio e un appello a una maggiore responsabilità nell’uso delle parole.
Spaccatura al Pride: la comunità ebraica milanese si allontana.
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