Un’ondata di sconcerto e indignazione ha travolto l’Università di Trento e ha investito il dibattito pubblico, innescata dalla pubblicazione di immagini su Instagram da parte di Agnese Tumicelli, studentessa e membro del Consiglio studentesco. La vicenda, sollevata con forza dal deputato Alessandro Urzì, coordinatore regionale di Fratelli d’Italia, ha portato il caso in sede parlamentare, ponendo interrogativi profondi sulla gestione della rappresentanza studentesca e sui limiti della libertà d’espressione in contesti istituzionali.Le immagini incriminate, diffuse attraverso il social media, mostravano la studentessa indumentata con magliette raffiguranti simboli evocativi del terrorismo degli anni di piombo. Non si trattava di semplici richiami, ma di una costellazione di elementi carichi di significato storico-politico: la sigla delle Brigate Rosse, la stella a cinque punte tristemente associata a crimini efferati, una ricostruzione stilizzata della Renault 4 rossa, simbolo dell’omicidio di Aldo Moro, e una serie di oggetti – pistole, piedi di porco, passamontagna – che richiamano gli strumenti della violenza politica, culminando in un’inquietante immagine stilizzata di uno schermo televisivo raffigurante un volto umano, potenzialmente evocativo del destino riservato agli ostaggi.Il rettore dell’Università di Trento, Flavio Deflorian, ha espresso il proprio disappunto in seguito alla notizia, apprendendola dai media. La condotta della studentessa, ha dichiarato, è inaccettabile, soprattutto considerando il ruolo istituzionale che ricopre, e non rispecchia i valori fondamentali dell’ateneo.Tumicelli, in una successiva dichiarazione, ha espresso rammarico per le immagini pubblicate, negando qualsiasi intenzione di apologia del terrorismo o di celebrazione della violenza. Ha ribadito la propria condanna di ogni forma di estremismo e ha sottolineato il proprio impegno verso i valori democratici, collaborando attivamente con associazioni studentesche progressiste. Pur assumendosi la piena responsabilità del proprio gesto, ha chiesto scusa per l’offesa arrecata, ricevendo il supporto del Consiglio studentesco.La vicenda ha acceso un acceso dibattito che ha coinvolto anche l’Associazione Vittime del Dovere, la cui vicepresidente, Ambra Minervini (figlia di Girolamo Minervini, magistrato ucciso dalle Brigate Rosse), ha denunciato la vicenda come un’oltraggio alla memoria delle vittime e una pericolosa glorificazione della violenza. Ha espresso la necessità di condannare senza remore iniziative di tale natura e ha interrogato sulla possibilità di consentire a persone responsabili di simili gesti di continuare a ricoprire ruoli di rappresentanza in contesti educativi.La vicenda si inserisce in un contesto più ampio di tensioni e polemiche all’interno dell’Università di Trento. Solo poche settimane prima, erano emerse polemiche legate a contenuti omofobi e a lodevoli riferimenti alla Repubblica Sociale Italiana, contenuti in chat pubbliche utilizzate da studenti di Azione Universitaria, un’associazione studentesca di destra. Queste chat avevano messo sotto la lente d’ingrandimento il neo eletto consigliere comunale di Trento del partito di Giorgia Meloni, Giacomo Mason. L’incidente solleva interrogativi cruciali sulla responsabilità sociale degli studenti, i limiti della libertà d’espressione in ambito universitario e la necessità di promuovere una cultura del rispetto e della memoria storica, al fine di prevenire la banalizzazione della violenza politica e l’oltraggio alla dignità delle vittime.
Università di Trento: immagini controverse e polemiche accese
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