Ventidue anni dopo una tragedia, un caso giudiziario si conclude con una decisione controversa, sollevando interrogativi complessi sulla responsabilità genitoriale, la sicurezza pubblica e il diritto al risarcimento. La vicenda di Maria Vittoria, madre di Emanuele Costa, scomparso nel 2003 nel Lago di Santa Croce, in provincia di Belluno, si è snodata attraverso cinque gradi di giudizio, culminando in una sentenza della Corte di Cassazione che introduce un elemento di concorso di colpa a carico sia della madre che del figlio defunto, impattando significativamente sull’ammontare del risarcimento precedentemente riconosciuto.Il 17 luglio 2003, Emanuele, un ragazzino di dodici anni, perdeva la vita in circostanze drammatiche. Il lago, oggetto di lavori di manutenzione da parte dell’Enel, si presentava parzialmente prosciugato, creando pozze di acqua stagnante e insidiose, ricoperte da uno strato di limo. Emanuele, inesperto in acqua e non in grado di nuotare, si immerse in una di queste zone, perdendosi in un ambiente ingannevole e letale.Inizialmente, il Tribunale locale aveva riconosciuto la gravità della situazione, individuando come elemento determinante la carenza di segnaletica adeguata a mettere in guardia i bagnanti dai pericoli legati ai lavori in corso. Questa lacuna nella sicurezza pubblica aveva portato all’assegnazione di un risarcimento di 400.000 euro alla madre e 200.000 euro ai nonni, come compensazione per il dolore e il danno subito.Tuttavia, la Corte d’Appello aveva ribaltato tale decisione, aprendo un dibattito più ampio sulla responsabilità genitoriale. La sentenza della Cassazione, ora, porta questa riflessione a un livello superiore, attribuendo un concorso di colpa del 20% sia a Maria Vittoria che al figlio scomparso. Questa interpretazione giuridica introduce una sfumatura cruciale: si ravvisa una presunta negligenza e omessa vigilanza da parte della madre, che non avrebbe dovuto permettere al figlio di immergersi in un ambiente così pericoloso.La decisione della Corte di Cassazione, pur chiudendo ufficialmente la lunga battaglia legale, apre a una discussione più ampia. Riflette una crescente tendenza a valutare con maggiore rigore la responsabilità dei genitori, anche in situazioni di tragedia, bilanciando la necessità di proteggere i diritti delle vittime con l’esigenza di evitare un eccessivo spostamento di responsabilità verso soggetti terzi. La sentenza solleva interrogativi etici e legali complessi: fino a che punto può essere ritenuta responsabile una madre per un evento tragico che coinvolge il proprio figlio? E come si concilia questa responsabilità con le circostanze attenuanti, come la giovane età del bambino e la mancanza di informazioni chiare sui pericoli ambientali?La vicenda Costa, a ventidue anni di distanza, continua a essere un monito sulla necessità di una maggiore attenzione alla sicurezza pubblica, ma anche un promemoria dei limiti e delle sfumature che caratterizzano la giustizia umana di fronte alla perdita e al dolore. La restituzione del 20% del risarcimento, sebbene giustificata giuridicamente, lascia dietro di sé un retrogusto amaro, amplificando la sofferenza di una famiglia già provata da una perdita irreparabile.
Vent’anni dopo: la Cassazione riduce il risarcimento per la tragedia di Emanuele Costa
Pubblicato il
